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Dietro le mura delle carceri italiane esiste una realtà poco conosciuta, spesso ignorata: quella dei bambini che crescono in carcere con le loro madri detenute. Secondo la legge italiana, le madri possono tenere con sé i figli fino al compimento dei tre anni. Una misura pensata per garantire la continuità del legame affettivo nei primi anni di vita. Tuttavia, vivere in un contesto carcerario significa crescere in un ambiente limitato, poco stimolante e spesso inadeguato ai bisogni dell’infanzia.

Il fenomeno riguarda l’intero territorio nazionale, ma assume caratteristiche particolari nel Sud Italia, dove le carenze strutturali e l’assenza di alternative reali rendono ancora più difficile garantire un ambiente idoneo allo sviluppo dei minori.

I bambini in carcere: un dato strutturale

Al 2024, secondo i dati forniti dal Ministero della Giustizia e da alcune associazioni di settore, si contano circa una trentina di bambini che vivono stabilmente all’interno di istituti penitenziari italiani. La maggior parte di loro si trova nelle sezioni nido delle carceri o negli ICAM (Istituti a Custodia Attenuata per detenute Madri), strutture introdotte con la legge 62 del 2011, nate per offrire un ambiente meno detentivo, pur restando nell’ambito della restrizione.

Gli ICAM, però, sono pochi – attualmente sei in tutta Italia – e la loro distribuzione geografica è fortemente sbilanciata: quasi tutti si trovano al Nord. Di conseguenza, nel Sud la maggior parte dei bambini vive all’interno delle sezioni nido dei penitenziari ordinari, che spesso non sono attrezzate per rispondere adeguatamente alle esigenze di crescita dei piccoli ospiti.

Il caso del Sud: criticità diffuse e poche alternative

In Campania, ad esempio, la struttura carceraria femminile di Pozzuoli ha ospitato nel tempo madri con bambini piccoli, in un contesto in cui la detenzione resta molto simile a quella degli adulti. Mancano spazi verdi, aree gioco dedicate, personale formato specificamente per l’infanzia. In altri casi – come nel carcere di Lauro o in alcune strutture pugliesi e calabresi – le madri detenute si trovano ad affrontare la maternità in condizioni di scarsa assistenza, con interventi minimi da parte dei servizi sociali.

Un altro elemento critico è l’assenza, nel Sud, di strutture alternative alla detenzione come le case-famiglia protette, previste anch’esse dalla legge ma poco sviluppate. Questo comporta che, in assenza di alternative, la madre sia costretta a tenere il figlio in carcere oppure a separarsene, affidandolo ad altri familiari o ai servizi sociali.

Le conseguenze per i bambini

Crescere in carcere significa vivere in uno spazio chiuso, regolato da orari rigidi, con possibilità di contatto sociale molto limitate. I bambini in carcere non hanno accesso regolare ad asili, attività educative all’esterno o interazioni con coetanei. Il rischio è quello di uno sviluppo psicologico rallentato, segnato da un ambiente non pensato per il gioco, la scoperta e l’interazione sociale.

A ciò si aggiunge lo stigma: bambini invisibili agli occhi delle istituzioni e della società, ma che spesso pagano in prima persona il peso di una condizione che non hanno scelto.

Cosa prevede la legge e cosa manca

La legge 62/2011 ha rappresentato un passo avanti importante. Ha introdotto gli ICAM e previsto la possibilità di usufruire di misure alternative alla detenzione per le madri con figli piccoli, come gli arresti domiciliari o l’affidamento in case-famiglia. Tuttavia, l’applicazione concreta di queste norme è disomogenea sul territorio nazionale.

Nel Sud, le strutture alternative sono poche e il ricorso a misure meno restrittive è spesso ostacolato da una carenza di risorse e da una rete di servizi sociali non sempre pronta ad accogliere e accompagnare la madre e il bambino in un percorso fuori dal carcere.

Alcune associazioni – come Bambinisenzasbarre, attiva anche in Campania – lavorano per tutelare il diritto alla genitorialità e alla continuità affettiva, ma il loro intervento, pur fondamentale, non può sostituire un’azione strutturata da parte delle istituzioni.

Un tema di responsabilità collettiva

La detenzione delle madri con bambini è una realtà che impone una riflessione collettiva. I bambini non dovrebbero mai essere considerati “ospiti tollerati” in un contesto penitenziario. La loro presenza richiede una presa in carico integrata, che metta al centro il loro diritto a crescere in un ambiente sano, stimolante e libero da condizionamenti negativi.

Garantire loro un’infanzia dignitosa, anche in situazioni di fragilità familiare, non è solo un dovere delle istituzioni, ma un indicatore della maturità civile di una società.

Chiara Vitone

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