Gli avvenimenti degli ultimi mesi hanno concentrato l’attenzione pubblica sui corsi d’acqua, sulle aree a maggior rischio idrogeologico e sulla loro delicata gestione. Tra le analisi degli eventi, la ricerca delle responsabilità e degli errori e le previsioni a breve e lungo termine è risultato particolarmente indebolito, prima dalla siccità e poi dalle alluvioni, il rapporto uomo-fiume. Un rapporto che ha caratterizzato le antiche civiltà fin dalla loro nascita. Un equilibrio che ha permesso all’umanità di prosperare ricavando acqua, risorse e tutta una serie di benefici che l’inquinamento, la crisi climatica e alcuni interventi di artificializzazione stanno mettendo a rischio. Un equilibrio che ai giorni nostri tentiamo di ristabilire parlando di rinaturazione e di servizi ecosistemici.
Quali sono i servizi ecosistemici dei fiumi?
Secondo l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) i servizi ecosistemici possono essere intesi come «i benefici che il capitale naturale offre all’uomo». Riccardo Santolini, biologo e docente universitario di ecologia, nella sua lezione per la One Planet School del WWF spiega quali sono le funzioni ecologiche (i servizi ecosistemici) offerte dagli ecosistemi fluviali. I fiumi modellano il paesaggio con l’erosione, il trasporto e il deposito del materiale, ricaricano le falde, distribuiscono i nutrienti, creano habitat ricchi di biodiversità ed ecosistemi di transizione, offrono acqua ad uso idropotabile, agricolo e ricreativo, conservano la natura e “convogliano” valori estetico-percettivi.
Sbarrare la via: le opere di artificializzazione
Per queste ragioni l’uomo ha da sempre cercato di sfruttare i corsi d’acqua, soprattutto per l’agricoltura e l’energia, spesso costruendo dighe o modificando il loro percorso verso posizioni strategiche. Questa artificializzazione, che spesso consiste nella canalizzazione del fiume, lo allontana dal suo letto naturale, dai rami e dalle lanche, zone “spugna” che nei casi di inondazione assorbono l’acqua in eccesso facendola penetrare nelle falde sotterranee. Ovviamente alcune modifiche (come l’innalzamento degli argini e la cementificazione) sono state spesso effettuate per ridurre il rischio di esondazioni, ma un fiume che viene canalizzato, deviato, costretto in spazi spesso molto ridotti, tende a riprendersi il terreno che nei secoli aveva conquistato, esondando nei periodi di piogge insistenti ed alluvionali.
La rinaturazione
Una canalizzazione sbagliata o eccessiva è foriera di disastri – anche economici – per contrastare i quali si deve intervenire modificando (nuovamente) l’asseto morfologico dei territori coinvolti e riportandolo all’origine. La Strategia dell’Unione Europea per la biodiversità entro il 2030 si concentra sul “risanare la natura” ripristinandone gli ecosistemi in modo da renderli maggiormente resilienti nell’affrontare gli effetti del cambiamento climatico. Questo ritorno al vecchio corso viene definito rinaturazione (o rinaturalizzazione); significa riportare un fiume, o alcuni dei suoi tratti, all’alveo originario, ripristinandone habitat, biodiversità, funzioni ecologiche e vegetazione ripariale autoctona. Negli ultimi decenni vari interventi di rinaturazione e riqualificazione sono stati proposti ed effettuati in Italia; fra quelli di recente approvazione c’è il Piano di rinaturazione del Po, dal valore di 357 milioni di euro e comprendente ben 56 aree di intervento lungo tutto il corso del fiume.
L’augurio è che anche il nostro rapporto con i corsi d’acqua subisca una rinaturazione: verso una gestione più attenta, verso il ripristino di quell’equilibrio che fin dall’antichità ha permesso all’umanità di sviluppare la sua storia.
Sabia Braccia
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