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Il Consiglio di Stato boccia la proroga delle concessioni ai lidi balneari applicando le normative europee. È l’ennesimo capitolo di una polemica che si trascina da anni e che non sembra avere una risoluzione all’orizzonte.

Contraddizioni per gli stabilimenti balneari

Nel 2020, grazie alla legge Centinaio, il Tar della Toscana si era espresso in maniera favorevole a quella che di fatto rappresentava una proroga fino al 2033 delle concessioni demaniali balneari.
È di questi giorni, invece, la notizia che il Consiglio di Stato è intervenuto per garantire l’applicazione della direttiva europea Bolkestein e di fatto rendere illegittima la suddetta legge varata durante il governo Lega-M5S e la più recente contenuta nel Milleproroghe, varata dall’attuale Governo Meloni.

Anche Sergio Mattarella aveva espresso perplessità a riguardo, definendola inoltre in contraddizione con la direzione economica da seguire per rientrare nel PNRR.

Come sempre da un lato vi sono gli esercenti che rivendicano la messa in atto delle leggi nazionali che favorirebbero la proroga, conservando di fatto un “diritto di prelazione” sulla porzione di spiaggia (in alcuni casi ottenuta anche decine di anni fa); dall’altra, invece, i giudici sono tenuti a favorire le direttive europee a discapito di quelle nazionali.

Perché le concessioni balneari creano tanto scalpore e dibattito?

Sebbene sembri una faccenda che interessi a una specifica categoria, in realtà quella delle concessioni balneari è una tematica molto frequente.

Sicuramente sullo sfondo si intravede una questione politica nella quale il Governo viene messo (per l’ennesima volta) in cattiva luce dagli esponenti dell’opposizione per normative che dovrebbero essere i “paletti” entro i quali muoversi, ma che l’attuale Governo pare non conoscere.

Ne parla Milena Gabanelli a dì Martedì, su La7, ma il tema pare non essere così “dibattuto”, tuttavia la questione fa venire a galla dei numeri preoccupanti che interessano tutti noi.

A fronte di un giro d’affari di oltre 2 miliardi di euro (l’Agenzia delle Entrate afferma che due società su tre non dichiarano totalmente gli introiti), lo Stato incassa dai lidi balneari circa 103 milioni di euro.
Ciò è reso possibile dalla svendita del patrimonio costiero italiano, ormai ceduto per quasi il 60% della sua estensione a prezzi definibili ridicoli rispetto agli incassi di alcuni stabilimenti.

Ad esempio Flavio Briatore, proprietario di uno dei lidi balneari più lussuosi d’Italia, ha dichiarato di pagare un canone annuo di 17.169 euro, briciole rispetto agli incassi faraonici del Twiga Beach.

Le soluzioni? Un mucchio di sabbia

In passato si era ipotizzata quella che sarebbe potuta diventare una riforma storica, basata su una più equa gara d’appalto che avrebbe puntato ad una maggiore concorrenza e innalzamento della qualità nella gestione del suolo marittimo, oltre a rendere accessibile a tutti la possibilità di ottenere la concessione, pagandola in maniera proporzionale allo spazio occupato.
L’eventuale nuovo proprietario avrebbe poi dovuto pagare una “buonuscita” al precedente.

C’è chi punta il dito contro quella che viene vista alla stregua di una lobby, supportata dai governi di destra per accaparrarsi approvazione, anche se sembra doveroso sottolineare che anche nei governi di sinistra non ci sia mai stato un grosso impegno nel risolvere la questione.

Di certo non sarà questa entrata che rimpinguerà le casse dello Stato, ma la questione è più generale: ci troviamo di fronte alla svendita di quello che è un territorio costiero, oggi occupato per il 60% da lidi balneari. Ma anche, e soprattutto, davanti all’ennesimo caso di inefficacia delle istituzioni e degli organi competenti, dove ogni diatriba crea inevitabilmente una spaccatura politica che abbandona la ricerca della soluzione preferendo screditare l’avversario di turno.

Antonio Montecalvo

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