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Illustrazione di Ilaria Longobardi (dallamiap.arte)

Ovunque si parla di ecologia, di sostenibilità: possiamo notarlo dalle pubblicità, dai programmi per le candidature politiche, dalle manifestazioni dei Fridays for future indetti da Greta Thunberg; le parole di questa ragazza, spesso criticate perché c’è chi sostiene che ciò per cui si batte sia tutta una messa in scena, costruite o meno, tre anni fa mi hanno colpita dritta nel profondo, lasciandomi un grande senso di colpevolezza e disprezzo verso me stessa.

Sono colpevole, come lo siamo tutti di superficialità, per dare per garantito ciò che di più prezioso possiamo avere e che ci viene offerto dalla natura, la quale non viene sicuramente ripagata nel modo migliore.

Nel mio piccolo, allora, ho iniziato a pensare, a cercare cosa potessi fare per cambiare, per frenare il mio contributo alla distruzione di questo pianeta che, almeno per ora, è l’unico a nostra disposizione (No planet B).
Certamente non sarò io da sola a cambiare il mondo ma so che ci sono tanti altri che si adoperano attivamente per questa causa e anche meglio di me; in questi anni in cui raccontavo le mie nuove, semplici abitudini a qualche conoscente, ho notato con piacere che in loro sorgeva una spontanea tendenza a fare un passo in avanti e una sensibilizzazione nei confronti di queste tematiche.
“Dovrebbe partire dalle grandi firme”, “non ci interessa delle generazioni future”, “forse non vogliamo neanche avere figli”… Quante scuse riusciremo ancora ad inventarci pur di non uscire dalla nostra comfort zone?

“Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”: è così bello scriverlo nelle bio di Instagram, nelle caption delle foto, sullo stato di Whatsapp, nella “frase che più ti descrive” di Facebook, ma in quanti poi mettiamo veramente in atto questo slogan di Mahatma Gandhi (sì, non ha i copyrights del rapper di paese) e non lo facciamo essere solo una moda come la parola “resilienza”?

Premetto di scrivere solo di alternative sostenibili che ho testato, di aver fatto degli errori, di aver imparato da questi e sicuramente starò ancora sbagliando su alcune cose, infatti sono aperta a consigli e la mia ricerca per una vita più sostenibile è in continuo sviluppo.

Alert: l’ecologia può diventare una “dipendenza”!

Quando si inizia, infatti, è possibile scoprire un mondo nuovo al quale ci si appassiona e anche quando riesci a sentirti fiero e appagato sai che puoi fare sempre di più ed è un continuo stanare nuovi “trucchi” e metodi per prenderci cura dell’ambiente e di noi stessi.
Io ho iniziato analizzando i prodotti che utilizzo nella mia quotidianità e quindi che consumo di più: prodotti per l’igiene, cura della persona, cosmetici e poi quelli per la pulizia della casa. Ho notato che consumavo tonnellate di shampoo e balsamo e allora ho iniziato ad utilizzare prodotti solidi, senza colorazioni artificiali (quei bei rosa, viola eccetera che non sono di certo il frutto naturale della miscela), o prodotti di aziende (e questa regola varrà poi anche per tutti gli altri ambiti) che sono effettivamente attente all’ambiente: cercano di limitare l’uso della plastica, con flaconi ricaricabili, danno la possibilità di rendere i vuoti (spesso avendo poi degli omaggi) o utilizzano una grande percentuale di plastica riciclata.

Ci sono due nozioni chiave che è bene sottolineare per ciò che riguarda la plastica e il riciclo di essa: prima di tutto riciclabili sono solo i contenitori, le confezioni; gli spazzolini convenzionali per esempio, non sono riciclabili. Come valida alternativa, compro spazzolini in bambù, le cui setole sono riciclabili nella plastica e il manico può invece essere depositato nell’umido. In secondo luogo, è bene considerare che la plastica non rappresenta sempre il male (nei casi in cui non vi siano valide alternative e l’utilizzo di una confezione sia indispensabile, teniamolo bene a mente).

I materiali più facili da riciclare sono l’alluminio e il vetro, però quest’ultimo, essendo molto fragile, ha bisogno di tanti imballaggi nel trasporto e, dato anche il peso maggiore, vi è la possibilità di trasportarne quantità minori, il che implica più viaggi e, quindi, più emissioni di Co2.

Per quanto riguarda i detersivi per la pulizia della casa, vige lo stesso consiglio: prestare attenzione al marchio e spendere qualche secondo in più per leggere le etichette, evitando di farsi ingannare dal Green washing che si propaga e avanza nelle corsie dei supermercati e nelle pubblicità. Questo fenomeno consiste nell’utilizzo di scritte accattivanti come “eco”, “solidale”, “Bio” e simili, a caratteri cubitali, spesso in verde, o ancora più furbamente, utilizzando proprio questo colore per le confezioni, perché associato all’idea di ecologia e per ingannare il consumatore, eludendo al tempo stesso la possibilità di essere denunciati per non aver rispettato la normativa europea a riguardo, la quale regola e gestisce l’emissione di queste etichette.

Da qualche mese ho iniziato a testare le tabs (pastigliette di detersivo concentrato), che si sciolgono inserendole nei classici spray (poi riutilizzabili) e aggiungendovi una determinata quantità di acqua: un’ottima soluzione per ovviare all’acquisto di un nuovo flacone e per una grande diminuzione di sprechi anche per i trasporti, visto il volume ridottissimo; sono, infatti, poco più grandi di una caramella Galatina.

Per quanto riguarda il vestiario, ho iniziato a ripensare e catalogare quali fossero i miei veri bisogni, riuscendo comunque a togliermi qualche sfizio in maniera intelligente. Invece di acquistare cinque capi di fast fashion di pessima fattura che avranno vita breve o magari sfrutteremo poco, scegliamone uno di buona qualità, ben pensato e che effettivamente utilizzeremo e ci durerà nel tempo; o, anche meglio, compriamo vintage e di seconda mano: amo pensare che ogni capo possa raccontare una storia, poterla continuare e aggiungerci un pezzo della mia mi sembra sempre un po’ magico. Poi, spesso e volentieri, si tratta di pezzi unici! Quando siamo contentissimi perché siamo riusciti ad aggiudicarci un tot. capi a un costo bassissimo riflettiamo un attimo su cosa c’è dietro a quel prezzo che ci appare così conveniente: materiali e rifiniture di bassa qualità, ma soprattutto sfruttamento del personale nel processo produttivo.

Per l’industria alimentare, l’indirizzamento è sempre verso marchi che utilizzino confezioni riciclabili, evitando gli immensi sprechi non giustificati in queste ultime (esempio eclatante sono le vaschette di plastica che contengono frutta e verdura, le quali sono già state fornite da madre natura di una pellicola protettiva naturale capace di decomporsi); proviamo ad acquistare il più possibile prodotti locali e di stagione.

L’ultima riflessione, visto il periodo natalizio ormai vicino, riguarda l’estremo consumismo delle festività e celebrazioni varie. Perché non iniziare a fare scelte più ragionate, magari regalando prodotti artigianali, sostenendo così le piccole imprese e le iniziative locali, o sostituendo un dono materiale con un’esperienza? Si hanno tante possibilità di scelta: non deve trattarsi necessariamente di un costosissimo viaggio o del biglietto di un concerto, ma si può optare per una visita ad un museo, una piccola gita fuori-porta, un invito al cinema, una cena.
Vi sono ancora tante facili alternative che possono essere messe in atto e non ho voluto riportare le più conosciute, come la borraccia per l’acqua o la tote bag per la spesa, ma ho cercato di percorrere un breve viaggio insieme, toccando alcune riflessioni utili ad aiutarci in tanti ambiti anche futuri, così da entrare nello spirito di una vita dedicata a noi e in sintonia con l’ambiente, per essere capaci di mettere in pratica queste piccole pillole di sostenibilità in autonomia.

Anna Chiara Paolino

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