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Nelle puntate precedenti abbiamo affrontato aspetti diversi della produzione dello stabilimento di Portovesme: la produzione di allumina da bauxite, operata da Eurallumina e quella di alluminio primario operata da SiderAlloys.

La produzione di zinco e piombo

Siamo arrivati all’analisi dell’ultima produzione di Portovesme: quella di zinco, piombo e acido solforico. Questa produzione è controllata dalla Portovesme S.r.l., totalmente di proprietà di una società del gruppo Glencore International plc, leader mondiale del commercio di materie prime ed in particolare di metalli non ferrosi. Fino a poco tempo fa era l’unico produttore di zinco e piombo in Italia, definito dal Ministero di importanza strategica nazionale. Occupava circa 1250 lavoratori che operavano stabilmente all’interno degli impianti. La capacità produttiva era di 150.000 tonnellate di zinco, 70.000 tonnellate di piombo, 220.000 tonnellate di acido solforico, 300 tonnellate di argento e 3 tonnellate d’oro.

La crisi energetica

Anche questo tipo di produzione è stata interessata dalla crisi energetica. Già nell’ottobre 2021 la Portovesme srl aveva convocato i lavoratori e spiegato che il costo dell’energia era troppo alto e l’azienda era in perdita. Gli operai e le istituzioni da quel momento hanno cercato delle soluzioni prima col governo Draghi poi col governo Meloni. Il limite che l’azienda si era posta per un accordo sui costi dell’energia era il 28 febbraio, l’accordo purtroppo non è arrivato quindi è scattata la procedura di cassa integrazione per 600 lavoratori a rotazione. Da marzo sono iniziate le clamorose proteste che hanno visto quattro operai accampati sulla ciminiera dell’impianto Kss della linea piombo con sacchi a pelo, cibo e bevande. Hanno protestato a 100 metri di altezza contro la possibile chiusura dell’80% degli impianti. È un’azienda altamente energivora e con la conversione al sistema elettrolitico, meno impattante sul versante ambientale, lo è ancora di più.

Ci sono altri fattori che contribuiscono alla crisi, oltre alla crisi energetica post pandemia anche la guerra in Ucraina che blocca il flusso delle materie prime, il fatto che in Sardegna non ci sia il metano quindi parte dell’energia elettrica utilizzata dall’impianto proviene da una centrale Enel a carbone, destinata alla chiusura. A rischio ci sono 1300 famiglie principalmente monoreddito.

La riconversione

Da febbraio quindi la produzione di piombo si è fermata, ma potrebbe riprendere la normale attività qualora si trovasse un accordo sul prezzo dell’energia. Intanto si è pensato ad una riconversione della produzione con un investimento di Glencore su un progetto pilota di 5 milioni di euro. Si mira a conquistare il mercato degli elementi per la costruzione di batterie con la produzione di nichel, cobalto, manganese e litio. L’ipotesi è quella di adeguare gli impianti, con la trasformazione dei processi, in cui oggi avviene la produzione di piombo, zinco, rame oro e argento per fare posto alle nuove produzioni. Questo progetto è in fase di analisi e valutazione, riguarderà l’intero sistema, dovrebbe arrivare a compimento entro il 2026.

Si sta facendo di tutto per salvare questa enorme fabbrica sulla quale grava il peso di intere famiglie. Tutto in fase di progettazione e nulla di concreto per il momento. L’impatto ambientale e la salute dei lavoratori vengono considerati in maniera marginale sulla progettazione della fabbrica del futuro. Parleremo di queste tematiche nel prossimo articolo.

Alessandra Cau

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