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Abbiamo i fondi ma non siamo in grado di investirli: lo strano paradosso che vede protagonista l’Italia.

Il Pnrr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) è il fondo da 750 miliardi di euro stanziati dall’Europa per la ripresa economica post pandemica. Finanziato nel 2021, il piano ha una durata di sei anni durante il quale l’importo verrà erogato in dieci rate.

Dunque entro il 2026 l’Italia dovrebbe lavorare – così come dichiarato – su diversi assi: digitalizzazione, transizione ecologica, istruzione e ricerca, inclusione sociale, ma anche per ridurre divari territoriali (si guardi agli 82 miliardi destinati al Mezzogiorno). 

Il tutto, secondo i piani, dovrebbe condurre a una significativa crescita del Pil nazionale di circa 3,6 punti percentuali. 

Tempo fa, di fronte a un piano così ben rappresentato ci eravamo però chiesti se tutti questi progetti fossero effettivamente possibili scenari o utopie. Ad oggi, purtroppo, sebbene manchino ancora circa tre anni alla fine, la situazione appare comunque abbastanza discutibile. 

Entro il 2022 infatti il nostro Paese avrebbe dovuto investire circa 46,8 miliardi invece ne sono stati impiegati meno della metà.

Per intenderci: finora il Governo ha speso circa il 18,8% dei soldi per la Digitalizzazione; il 16,7% per la transazione ecologica, il 16,4 per le infrastrutture per mobilità sostenibile; il 4,1% per l’istruzione; solo l’1,2% per Inclusione e coesione; e appena lo 0,5% per la Salute.

L’Europa chiede spiegazioni

Così come dichiarato sin dall’inizio, nel caso di mancato investimento i fondi dovranno essere restituiti all’UE. Pertanto, il rischio è quello di perdere un’importante occasione. 

Lo scorso 28 Marzo la Corte dei Conti ha presentato la relazione semestrale sullo stato del Pnrr. Dall’analisi è emerso un preoccupante ritardo nella spesa dei fondi e nell’attuare i progetti. Si sottolinea perciò la necessità di velocizzare le procedure per non perdere la disponibilità dei fondi arrivati negli scorsi anni.

Ma come è possibile tutto ciò?

Perché facciamo tanta fatica a spendere soldi che in realtà ci servono?

Sicuramente uno dei problemi che riscontriamo nel nostro Paese, che alimenta il rallentamento di sviluppo, è quello di procedure amministrative e burocratiche molto lunghe. Si aggiunge poi l’aumento dell’inflazione che ha inevitabilmente rallentato i cantieri e gli appalti. Inoltre, come si legge dalla relazione, gli enti locali non dispongono di competenze e personale adeguato.

Restituire i fondi Pnrr? Un rischio che non si è disposti a correre

Per non perdere i fondi occorre ritrattare con la Commissione Europea per modificare il piano.

Già alla fine dello scorso autunno si era però parlato di riprogettare il Pnrr, in quanto per vari aspetti l’impianto varato dal governo Draghi non fosse “funzionale” e pertanto non sarebbe stato possibile rispettare la scadenza del 2026. 

Anche il Ministro per gli affari europei, le politiche di coesione e PNRR, Raffaele Fitto ha dichiarato – presso la Camera dei deputati – che: “Alcuni interventi da qui a giugno 2026 non possono essere realizzati. È matematico, è scientifico. Dobbiamo dirlo con chiarezza.”

Fortunatamente, è comunque prevista nel piano del Pnrr la possibilità di una maggiore flessibilità nelle risorse e nei progetti. Dunque, l’Italia ha la possibilità di reinvestire il denaro. 

Quale destino per i fondi del Pnrr?

Ma basterà cambiare semplicemente i piani per far funzionare le cose? Secondo la CGIA (Associazione Artigiani e Piccole Imprese di Mestre) entro il 2026 il nostro Paese dovrà spendere mediamente 42 miliardi di euro all’anno per poter realizzare tutti i progetti previsti. Si tratta, però, di un progetto molto ambizioso e forse difficile vista l’enorme difficoltà del nostro Paese a investire.

Tuttavia, Paolo Gentiloni, commissario europeo per gli affari economici e monetari nella Commissione von der Leyen, ha affermato di essere “ottimista sul PNRR” e che “l’Ue apprezza la buonissima volontà del Governo italiano”.

Nulla di fatto, insomma, ma questo è stato senz’altro un intervento volto a mitigare l’incandescente clima politico degli ultimi giorni.

Carmela Fusco

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