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“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.”

Questo è ciò che esprime l’articolo 32 della nostra Costituzione, secondo il quale ognuno di noi è un «legittimo utente di un pubblico servizio, cui ha pieno e incondizionato diritto». In Italia il Servizio sanitario nazionale (il complesso delle attività sanitarie garantite a tutti i cittadini gratuitamente o tramite il pagamento di una compartecipazione alla spesa), è stato realizzato solo nel 1978. Occorre sottolineare, inoltre, che il diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e ottenere cure mediche è principio scritto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. 

Questa premessa risulta essenziale per focalizzare la valenza di questo settore. Tale importanza, ad oggi, risulterebbe assodata, condivisa e quasi metabolizzata. La pandemia ha risvegliato delle paure incolmabili, nutrite dall’impotenza dell’essere umano. Di conseguenza, il settore sanitario come strumento e la cura stessa come traguardo, hanno ricoperto un ruolo essenziale. La priorità alla base delle nostre vite. Nonostante ciò, vi sono stati e vi sono alcuni intoppi nella nostra penisola. Anche questo settore, del resto, non si cosparge in maniera omogenea. E ciò non ci sorprende. Vi sono una serie di dati, i quali riportano marcate discontinuità territoriali.

L’oggettività del dato…

Da una parte il Nord, dove gli indicatori sono molto vicini ai Paesi più ricchi dell’Unione europea, dall’altra il Sud, dove la situazione è assimilabile a quella dei Paesi dell’Est. Strano? Non si direbbe. L’aspettativa d vita per le donne è di 83,7 anni, mentre per gli uomini è 78,2 anni. Già nel Rapporto Annuale dell’Istat presentato dall’ex presidente Giorgio Alleva emerse una chiara fotografia della Sanità italiana da cui è evidente un forte divario territoriale nell’assistenza sanitaria. Nell’area del Mezzogiorno è più che doppia la quota di rinuncia alle cure per motivi economici o per carenza dell’offerta , mentre nel Nord si registra la quota più bassa.

Ma cosa succede effettivamente? 

Aumenta la mobilità sanitaria, che diventa causa ed effetto del problema. In generale i “migranti della salute” che si spostano da Sud e Isole verso Nord sono circa 345mila. Le motivazioni che li spingono a muoversi sono relative alla qualità delle cure, alle liste d’attesa e dei casi riguardano altri motivi di natura logistica. Ovviamente decidere di recarsi in un’altra regione per essere sottoposti a cure richiede un notevole investimento economico, sia per i pazienti sia per i loro accompagnatori. E’ chiaro che vi saranno rinunce alle cure, dovute all’impossibilità economica, che inevitabilmente rappresenta la risposta ai dati sopra elencati. Inoltre, un costo notevole impatta non solo sui pazienti, ma anche sulle regioni del Sud che finiscono con il rimborsare prestazioni mediche a cui i propri abitanti si sottopongono altrove. 

Di conseguenza, il Mezzogiorno perde un’importate sfida: la possibilità di attirare nuovi talenti e migliorare il servizio stesso.

Dati su “performance servizi sanitari regionali” (RAPPORTO CREA-2019)

esteso anche alla prevenzione …

Un esempio: secondo i dati non troppo remoti dell’Organizzazione mondiale a Nord l’85,2% delle donne adulte ricorrono a mammografia, segue il Centro con l’80,7% e a distanza di parecchi punti il Sud e le Isole con il 66,3%. Tendenze analoghe si registrano in caso di prevenzione al colon retto. 

A cosa è dovuto? I dati ci fanno anche osservare che la prevenzione è strettamente connessa al reddito; più questo sale, più ci si sottopone a mammografie e controlli colon-rettali. Anche quando ci troviamo di fronte ad un sistema che finanzia a costo zero la prevenzione, garantendo screening gratuiti per il tumore al seno e il tumore al colon-retto, nella maggior parte dei casi ad accedere al servizio sono persone con redditi più elevati, mentre i redditi più bassi rinunciano con maggiore frequenza.

… gestito durante la pandemia 

Adesso la domanda sorge spontanea: quale destino sarebbe spettato al Sud d’Italia , durante la pandemia, se avesse rilevato lo stesso numero di contagi emersi al Nord? La portata numerica dei contagi è stata minore e dovuta a diversi motivi. Nelle varie interviste ad esperti è emerso, in primis, il fattore temporale. Infatti, il virus è arrivato in Lombardia e di lì si è diffuso in un periodo di picco influenzale. Poi si è trasmesso per contiguità. Quando l’epidemia si è diffusa in tutta Italia e sono nati dei focolai al Sud, le autorità erano già preparate. 

Solo questione di tempo?

No. Il virus ha colpito principalmente le aree più produttive e quindi il Nord Italia, semplicemente perché ci sono più contatti tra le persone e più spostamenti quotidiani legati a un mondo del lavoro e ad uno stile di vita frenetici. Anche l’aspetto della densità abitativa ha avuto un’incidenza.  Le variabili sono tante, senza dimenticare il fattore della casualità, sempre presente nelle epidemie. E nonostante ciò, il Sud ha sofferto per la mancanza di posti letto negli ospedali, per la disinformazone e disorganizzazione, per una mancata efficienza che nella situazione pandemica non ha fatto altro che venire a galla. 

In conclusione ed in relazione ai numerosi dati il punto essenziale è uno: partire dalle basi per arrivare all’apice. 

Da dove cominciare? Dalla manutenzione degli ospedali a nuove cliniche specializzate, arrivando ad un livello ottimale e meritevole. Il cambiamento è necessario e la paura del fallimento è inevitabile, soprattutto per le piccole realtà cittadine. Ma adesso più che mai occorre fare salti di qualità, anche a piccoli passi. Far si che diventi un obiettivo da raggiungere, il cui input parta da noi stessi e dalle iniziative che non devono più essere bocciate, guidati dalla convinzione che anche nel Mezzogiorno la potenzialità e la determinazione sono di casa.

Claudia Coccia

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