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Lo psicoanalista Aldo Carotenuto scriveva che “più una persona nasce in un contesto svantaggiato, più sentirà di non meritarsi ciò che otterrà; più nasci in un contesto privilegiato, più sentirai di esserti meritato il tuo successo”.

Parole alquanto esatte soprattutto se rapportate alla paternale subita lo scorso mese dal noto chef ed imprenditore Alessandro Borghese.

“Vuoi diventare Alessandro Borghese? Devi lavorare sodo. A me nessuno ha mai regalato nulla. Mi sono spaccato la schiena, io, per questo lavoro che è fatto di sacrifici e abnegazione.”

In un’intervista al Corriere, si è infatti scagliato contro la nuova generazione che, a detta sua, non è pronta ad entrare nel mondo del lavoro, non è disposta a sacrificarsi o a “lavorare per imparare”. Una generazione che preferisce “tenersi stretto il fine settimana per divertirsi con gli amici” e che, quando lavora, pretende “di ricevere compensi importanti fin da subito”.

La morale dei privilegiati

Non poteva mancare, poi, il racconto strappalacrime di come abbia iniziato la sua di carriera: anni di privazioni, lunga gavetta a bordo delle navi, senza uno stipendio ma in cambio vitto e alloggio. Una vita di sacrifici che devi essere disposto a fare se vuoi essere anche tu come lui.

Peccato che non tutti vogliono diventare chef stellati, protagonisti di programmi televisivi culinari e dare “diesci” tondi per servizio e cortesia. C’è anche chi vuole semplicemente preparare portate senza troppe pretese. Per vivere.

“Sarò impopolare ma non ho alcun problema nel dire che lavorare per imparare non significa essere per forza pagati”.

Il problema di chi lavora senza contratto o sottopagato, specie in questo ambito, è proprio tutto in questa frase qui. Non sia mai che si pretenda di essere pagati mentre state imparando il mestiere.

In breve, un discorso razionale, basato sui dati e sulle tendenze dell’attuale mondo del lavoro.

Ad essere discussa non è l’importanza dell’esperienza, tutt’altro. Ma il fatto che questa debba essere gratuita. Si tratta di una delle più grandi ingiustizie sociali possibili.

Ad essere omesso, inoltre, è un fattore decisivo: quello del privilegio. Privilegio che spesso rende difficile, per chi ne gode, comprendere la difficoltà di chi la sua stessa fortuna non l’ha mai avuta. Non tutti possono avere il lusso di imparare un mestiere senza essere, nel mentre, retribuiti.

Certo, il successo non avviene per caso. Per ottenere risultati devi investire tempo ed energie: è impegno, studio, passione, devozione. Ma bisogna anche convenire che non per tutti vuol dire partire dalla stessa linea di partenza: è anche crescere in determinati contesti, avere accesso a formazione, esperienze ed opportunità. Insomma, in una società ferma come quella italiana, la possibilità di certi percorsi è concessa solo a chi possa vivere quella fase senza troppi pensieri

“i giovani non hanno voglia di lavorare”

Intanto scorrono le testimonianze di chi rivela cosa accade veramente nel settore del turismo e della ristorazione: contratti fittizi, straordinari non considerati, condizioni di lavoro pietose. Insomma, allo chef, nato in California, figlio di Barbara Bouchet e dell’imprenditore Luigi Borghese, frequentante la prestigiosa American Overseas School of Rome, andrebbe ricordato che il lavoro va retribuito, in caso contrario è sfruttamento.

Ma oltre a Borghese, fanno seguito altre dichiarazioni, come quelle dello chef Filippo la Mantia sulla difficoltà di reperire personale: “i ragazzi hanno proprio cambiato mentalità”. Quest’ultimo, infatti, ha spiegato come non riesca a trovare ragazzi disposti a lavorare nel suo ristorante nonostante l’offerta di 22.000 euro annui lordi che tradotti in euro netti mensili, con cui vivere a Milano, vuol dire non arrivare a fine mese.

Ancora, se ne sono aggiunte altre non di poco conto, come quelle del ministro del Turismo Massimo Garavaglia, che intervistato sempre dal Corriere ha affermato che “il mercato del lavoro è viziato dal reddito di cittadinanza, che sta affossando gli stagionali”.

Con il ritorno della primavera, e del periodo dei lavori stagionali, non poteva mancare quindi un po’ di sano qualunquismo sui giovani svogliati. Giovani che preferiscono il reddito di cittadinanza a un lavoro vero perché è più comodo così, giovani che a ogni nuova generazione sono sempre più sfaticati e non disposti a sacrifici, che abbracciano la condizione di Neet.

Il lavoro stagionale come barista, cameriere e cuoco, raccontato da giornali e imprenditori come un enorme garanzia verso un futuro occupazionale radioso, è in realtà un mondo spesso fatto di paghe bassissime, turni di lavoro massacranti, straordinari non retribuiti, grande lavoro a nero che si va ad affiancare a turni irregolari e soprattutto zero prospettive.

Sarebbe il caso, quindi, di evidenziare l’altra faccia della medaglia: giovani che non si fanno sfruttare, che non accettano esperienze di lavoro spacciate per stage senza essere retribuiti, che rifiutano stipendi umilianti, che pensano all’etica, alla loro dignità e la difendono con le unghie e con i denti.

Perché se è vero che “il lavoro nobilita l’uomo”, recita un noto proverbio, per renderlo nobile, a quest’uomo devi lasciare la dignità.

Chiara Vitone

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