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Dove la vita ancora non è stata scoperta

Da vocabolario si definisce “idealista” chi ha fede nella forza delle idee e nel valore dei principi. Personalmente ritengo di appartenere a questa categoria che dai più viene etichettata come quella particolare linea di pensiero che accomuna “i poveri illusi”.

In effetti, agli occhi del mondo noi idealisti non siamo propriamente dei vincitori, tutt’altro. Aspirare ad un mondo migliore, credere davvero che le cose possano un giorno cambiare in meglio assume spesso i connotati dell’utopia. Come dar torto quindi a chi preferisce guardare al pratico, alla realtà concreta, anche se questa spesso offre un’immagine di sé davvero triste?

Tuttavia, credo che guardare il mondo con gli occhi di un sognatore aiuti a vivere nel migliore dei modi il presente. Ciò non significa tralasciare del tutto l’oggettività che ci circonda; al contrario la si può colorare con sfumature più accese, con colori più vivi e magari un giorno le strade si uniranno pure.

Nella mia mente si rincorre con una certa frequenza la parola “dignità” che, sempre nel significato letterale del termine, indica la condizione di nobiltà morale in cui l’uomo è posto nonché il rispetto che per tale condizione gli è dovuto e ch’egli deve a sé stesso.

Detta così, la dignità dovrebbe costituire un requisito fondamentale, imprescindibile nella vita di ognuno. Verrebbe quasi da affermare, dunque, che senza dignità nessuno esisterebbe. Nel pratico, però, non è così. Persistono ancora diverse forme di inesistenza che rendono la persona praticamente una nullità. Un esempio di ciò si palesa a Borgo Mezzanone, nel foggiano.

La realtà di Borgo Mezzanone

In quest’area ormai da decenni è presente un vero e proprio ghetto in cui sono chiamati a vivere, anche se è più corretto dire a sopravvivere, donne, bambini, uomini di colore che chiedono una sola cosa: dignità.

Come la si raggiunge? Da che mondo è mondo lo strumento principale è il lavoro, l’arte che nobilita l’uomo per definizione. Nella quotidianità teoricamente gli ospiti della baraccopoli svolgono una professione: bracciante agricolo.

La Capitanata certo abbonda per sua natura di campi da coltivare e di conseguenza di materie prime da raccogliere. Insomma, le condizioni per condurre una vita dignitosa nel settore dell’agricoltura ci sarebbero tutte. Urge usare il condizionale (verbo caro a noi idealisti) visto che se vogliamo utilizzare il presente sono ben altri i termini da impiegare. Ciò che viene definito ipocritamente “lavoro” nelle campagne attorno a Borgo Mezzanone va chiamato “sfruttamento”. L’area negli anni più che isola felice di accoglienza ed integrazione dei migranti è passata alla storia come la “capitale” del caporalato.

Il sistema “perfetto”

Per chi ignorasse il fenomeno, trattasi di una rete ben costruita, quasi “perfetta” (come la definì in passato la stessa Procura di Foggia) volta allo sfruttamento di manodopera a basso costo per scopi chiaramente di lucro personale.

Questa rete così ben ramificata è stata realizzata negli anni “grazie” alla collaborazione tra caporali, imprenditori della zona e politici. Il sistema prevede l’individuazione della forza lavoro necessaria, il reclutamento della stessa e l’accordo sulla parola (perché la carta in certi ambienti è in disuso) relativamente a modi e tempi di retribuzione. Per non farsi mancare nulla, i braccianti usufruiscono di una sorta di “servizio navetta” per spostarsi dal ghetto al luogo di lavoro. Certo, non saranno mezzi all’avanguardia, ma in compenso hanno una capienza pari a 20-25 posti; questo in base ad una speciale “concessione” degli stessi caporali, i quali chiudono un occhio non rispettando le regole che vogliono a bordo di simili vetture massimo 9 persone pur di permettere ai migranti di lavorare. Che nobile principio!

Arrivati sin dalle prime luci dell’alba e in ogni stagione climatica sul posto di lavoro, i braccianti iniziano a svolgere la propria mansione che, seppur dura, poi viene “gratificata” con uno stipendio medio di 3.50 euro l’ora (a proposito di dignità!). Tornati a casa poi, all’imbrunire, i migranti possono rilassarsi nella loro confortevole “cittadella”. Poco importa se ogni tanto va a fuoco qualcosa o se le condizioni igieniche non sono propriamente delle migliori!

“Terra Rossa”

Mettendo da parte l’ironia, in questa faccenda c’è solo da rammaricarsi e da arrabbiarsi. La satira che una penna come quella del sottoscritto adopera per descrivere simili situazioni, cercando terreno fertile per un raccolto che sia sano, oltre che produttivo, nei discorsi degli amministratori locali sa’ tanto di serietà, di cinismo e di crudeltà. Tutti sanno cos’è Borgo Mezzanone, ma nessuno interviene. Anzi, in molti si affiliano ed entrano nel giro criminale. Non ultima la moglie di Michele di Bari, da due anni capo del Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione del Ministero dell’Interno. Nell’ ambito dell’inchiesta “Terra Rossa”, le forze dell’ordine hanno accertato la responsabilità della suddetta signora negli affari loschi della zona. Lei è solo una delle tante persone “per bene” che consapevolmente hanno accettato di schierarsi dalla parte sbagliata.

Siamo pertanto in presenza di un vero e proprio sistema mafioso che unisce criminali con la pistola e altri in giacca e cravatta.

I rimedi: parole o fatti?

Vani sono risultati gli attestati di interesse e le parvenze di rimedi efficaci. Un esempio su tutti, il provvedimento che l’allora Ministra dell’Agricoltura, Teresa Bellanova, ha eretto a vessillo della propria battaglia politica: la regolarizzazione dei lavoratori agricoli.

La legge è nobile solo su carta; nella pratica non ha mai trovato la sua realizzazione. Il motivo? Principalmente perché lo stesso Stato a volte è l’organo ipocrita per eccellenza. In assenza di controlli volti a far rispettare una legge, tutto è ideale.

Una speranza di un domani davvero migliore per le circa 2000 persone accampate a Borgo Mezzanone la danno gli occhi di uno di loro: Aboubakar Soumahoro, sindacalista. Quest’uomo ha proposto l’istituzione di un permesso di soggiorno per motivi sanitari per i suoi compagni con la possibilità di poterlo convertire in futuro in un permesso per attività lavorativa.

In questo modo, sempre con la premessa della sorveglianza, i braccianti africani inizierebbero a capire cos’è la vita, quel bene primario, essenziale, che a Borgo Mezzanone ancora non è stato scoperto.

Felice Marcantonio

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