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“Contro tutto questo voi non dovete fare altro (io credo) che continuare semplicemente a essere voi stessi: il che significa essere continuamente irriconoscibili. Dimenticare subito i grandi successi: e continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi col diverso; a scandalizzare; a bestemmiare.”

(Pier Paolo Pasolini al 15º congresso del Partito Radicale)

Storia diversa per gente normale…

Solo qualche settimana fa, nella città di Bari, è stato dato l’avvio ai lavori per il murale dedicato a Pier Paolo Pasolini, nel sottopasso Duca degli Abruzzi, in occasione del centenario della sua nascita, il 5 marzo 1922, in quel di Bologna. Il murale, progettato dall’artista Fnkey, è stato portato avanti dai volontari dell’associazione Retake la quale ha avuto premura di lanciare l’iniziativa per omaggiarne la memoria.
Stando alle notizie biografiche, nonchè alle cronache cittadine, Pasolini ha dedicato, al capoluogo pugliese, il racconto breve intitolato Le Due Bari e la scelta di realizzare il murales proprio in quel luogo è stata dettata dalla vicinanza all’hotel in cui, durante un soggiorno nel 1951, lo scrittore pernottò.
Non abbiamo potuto fare a meno di notare come, durante il transito in quel luogo, molti automobilisti si soffermino a dare uno sguardo all’imponente volto che troneggia sul muro perimetrale, segno che, in fondo, siamo ancora in grado di prestare attenzione; tra l’altro, per sconfinare nella tematica delle emissioni di gas di scarico dalle automobili che da lì passano, l’intera opera è stata realizzata con vernici anti-smog in grado di assorbire il CO2. Curioso, considerando che Pasolini fu un uomo capace di guardare oltre, più o meno come una svolta green nell’uso dei coloranti, ma meglio non esagerare.

…storia comune per gente speciale

Ma chi è stato Pier Paolo Pasolini? Domanda che necessita di una lunga e articolata risposta.
Figlio di un ufficiale di fanteria e di una maestra, il giovane Pier Paolo crebbe spostandosi in diversi luoghi, in virtù della professione paterna. Giovane dall’intelligenza acuta e dall’immenso talento letteriario, si iscrisse, nel 1939, a soli diciassette anni, alla Facoltà di Lettere dell’Università di Bologna dove scoprì la filologia romanza e soprattutto l’estetica delle arti figurative, insegnata al tempo dall’affermato critico d’arte Roberto Longhi, laureandosi con lode.
Durante il corso della Seconda Guerra Mondiale la famiglia Pasolini reputò necessario trasferirsi a Versuta, in Friuli, per attendere la fine del conflitto, e lì Pier Paolo ebbe modo di aprire una scuola gratuita nella propria casa. Fu proprio durante questo periodo che la famiglia fu colpita da un grave lutto: il fratello, Guido, membro della Brigata Osoppo, fu ucciso il 7 febbraio del 1945 da una milizia di partigiani comunisti in quello che fu ricordato come l’eccidio di Porzûs, gettando Pier Paolo e la madre in un terribile strazio.
Già dai primi tempi del dopoguerra il nostro fu attivo con diverse opere, tra cui ricordiamo Il Romanzo di Narciso, L’usignolo della Chiesa Cattolica e il dramma Il Cappellano. Maturò, al contempo, una convinta adesione al PCI, a cui si iscrisse nel 1947, diventando segretario della sezione di San Giovanni di Casarsa nel 1949; la decisione di aderirvi venne conseguenzialmente a una poca tolleranza per i rapporti opprimenti tra padroni e diseredati, cercando di colmare le lacune dottrinarie con la lettura di Karl Marx e soprattutto con i primi libri di Antonio Gramsci. Sempre in seno al PCI partecipò alla manifestazione, che si tenne nel centro di San Vito, il 7 gennaio 1948, organizzata dalla Camera del lavoro per ottenere l’applicazione del Lodo De Gasperi e fu in questa occasione che, osservando le varie fasi degli scontri con la polizia e parlando con i giovani contadini, si delineò il progetto di scrivere un romanzo su quel mondo in fermento, pubblicato solo nel 1962 con il titolo Il sogno di una cosa che, come primo titolo, ebbe La meglio gioventù. Partecipò, infine, nel febbraio del 1949 al primo congresso della Federazione comunista di Pordenone e in maggio si recò a Parigi per il Congresso mondiale della pace.

Cos’altro vi serve da queste vite?

C’è un aspetto tuttavia, nella vita del Pasolini, che ha spesso incuriosito i più e su cui, soprattutto dopo la sua morte, si è speculato frequentemente: quello della sua omosessualità.
Il primo processo a suo carico si tenne tra il 1949 e il 1952, a Ramuscello. Accusato di atti osceni in luogo pubblico e corruzione di minore, fu infine assolto ma gli costò l’espulsione dal PCI per “indegnità morale e politica”. Fu anche sospeso dall’insegnamento, come previsto in simili casi.
Questo non fu un caso isolato, si calcola infatti che lo scrittore, nonchè anche regista, abbia ricevuto 24 denunce e/o querele durante il corso della propria vita.
Se del Pasolini si ricordano traduzioni, sceneggiature, curatele e saggi, un aspetto sempre molto ricordato di lui è quel lato oscuro che, in verità, ha affascinato tutti coloro che si sono approcciati alla sua figura, ossia il lato violento e sadico della sua sessualità.
Pasolini, che in seguito alla lettura del romanzo del marchese di Sade, trasse la sceneggiatura per il film Salò o le 120 giornate di Sodoma, descrisse in maniera dettagliata l’oscurità celata nell’apparente rispettabilità, del resto “non c’è niente di più contagioso del male”. E lui ne fu sicuramente uno degli esponenti, considerando che, chi lo conobbe, ebbe modo di vedere un amico trasformarsi da uomo colto ed ispirato a bestia assetata di sangue, in grado di ripresentarsi rispettabilmente il giorno seguente con ancora i segni dei graffi derivanti dalle sue pratiche sessuali, come disse il critico Giancarlo Vigorelli.
A detta di Nico Naldini, cugino di primo grado di Pasolini, anch’egli omosessuale, poeta e scrittore, uno degli aspetti più consoni alla figura del regista fu proprio quell’aspetto brutale che creava imbarazzo e su cui, successivamente all’omicidio, si sono formate diverse teorie del complotto, evidenziando, tuttavia, la resistenza e l’ostilità della sinistra e di alcuni amici ad accettare la particolare omosessualità dello scrittore riducendola a una sorta di vizietto privato, cosa su cui, in realtà, Pasolini, ha fondato la propria opera e la propria critica alla società.

Ora che il cielo al centro le ha scolpite

Un aspetto su cui vorremmo soffermarci, nella trattazione concessa a un articolo come questo, è sicuramente quello che Pasolini riservò alle rivoluzioni sociali del Sessantotto.
Come sappiamo, gli anni ’60, e in particolare il ’68, per buona parte del mondo occidentale sono stati un vero e proprio spartiacque nei pensieri e nei concetti fino ad allora dominanti. Già negli articoli precedenti abbiamo trattato questo punto.
Eppure, Pasolini, con un acume e una lungimiranza oltremodo fuori dagli schemi, vide negli sconvolgimenti, e specialmente negli scontri di Valle Giulia tra i reparti della polizia che avevano occupato preventivamente la facoltà romana di Architettura e giovani studenti, un movimento e un piglio che di rivoluzionario non aveva nulla, ma che fosse, in realtà, un nuovo strumento di potere nelle mani di una neoborghesia. Dichiarò, infatti, in sede di un’intervista uscita a sorpresa sull’Espresso:


“Ho passato la vita a odiare i vecchi borghesi moralisti, e adesso, precocemente devo odiare anche i loro figli… La borghesia si schiera sulle barricate contro sé stessa, i “figli di papà” si rivoltano contro i “papà”. La meta degli studenti non è più la Rivoluzione ma la guerra civile. Sono dei borghesi rimasti tali e quali come i loro padri, hanno un senso legalitario della vita, sono profondamente conformisti. Per noi nati con l’idea della Rivoluzione sarebbe dignitoso rimanere attaccati a questo ideale.”

La polemica che da qui scaturì non fece altro che accentuarne l’immagine di personaggio scomodo, tanto agli ambienti di destra quanto a quelli di sinistra. Socrate, Giordano Bruno o lo stesso Gesù Cristo possono essere inseriti nel novero di quelli che, come Pasolini, dovevano essere zittiti, in un modo o nell’altro.
E’ bene, tuttavia, non scadere in una meschina apoteosi del personaggio: Pier Paolo Pasolini morì la notte del 2 novembre 1975, brutalmente assassinato con percosse e successivamente investito dalla sua stessa auto dai suoi assassini, anche se, in un primo momento, venne incolpato il giovane Giuseppe Pelosi.
Se, da un lato, si sono scatenati i fanatici del complotto che vedono nella sua morte l’ombra della longa manus mafiosa, dall’altro vi sono coloro che vedono, in ciò, il risultato di certe inclinazioni sessuali, celate dagli esegeti a lui favorevoli, i quali intendono ritrarlo come un martire dell’antifascismo, nel tentativo di preservarne la statura di vate.
Noi, che sicuramente non viviamo nella temperie politica e culturale degli anni Settanta, siamo più favorevoli alle vie di mezzo, perchè è possibile che Pasolini abbia tanto infastidito qualche potente quanto che abbia portato alle estreme conseguenze la propria poetica.
Non ci è dato saperlo ma possiamo, tuttavia, ancora godere dello sconfinato patrimonio artistico da lui lasciato, capolavoro della letteratura italiana, e, in questi tempi di guerra ed oblio, il patrimonio collettivo di un popolo va preservato, come ci stanno insegnando, in un’altra parte d’Europa, i cittadini di Odessa, Mariupol e Leopoli.

Dario Del Viscio

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