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Simbologia della primavera

Salvatore Di Giacomo

Il mese di maggio, ormai agli sgoccioli, anche quest’anno non ha fatto a meno di sorprendere. Insolitamente caldo e ricco di nuovi sviluppi, tra cui il ritorno delle feste patronali nei vari comuni d’Italia e, in particolare, del Meridione, dopo due anni di sospensioni causate dalla pandemia di Covid, feste caratteristiche in alcuni casi, come San Nicola a Bari o i Santi Medici nella vicina Monopoli, anche quest’anno il mese che deriva il suo nome dal latino maius (secondo Ovidio, da maiores: “gli anziani” a cui i romani dedicavano questo mese o ancora da Maja, la madre di Mercurio, a cui il mese sarebbe stato dedicato) ha celebrato il ritorno della primavera, in molti sensi.


Sempre collegata a questo mese è, sicuramente, la fioritura della rosa, a sua volta strettamente connessa all’amore, in tutte le sue forme. Se, da un lato, la simbologia rimanda inevitabilmente alla figura della Madre, dall’altro porta istintivamente a pensare a quell’amore passionale e ardente tra due amanti.
Ed è qui che si inserisce una delle ballate popolari napoletane più celebri, Era De Maggio, scritta da Salvatore Di Giacomo nel 1885, e poi sviluppata in musica da Pasquale Costa, successivamente interpretata da un gran numero di artisti, da Claudio Villa al recentemente scomparso Franco Battiato (scomparso proprio a maggio, ndr).

Gli autori del brano

Salvatore di Giacomo nasce a Napoli nel 1860, studia medicina per poi accorgersi dopo varie vicissitudini che questa non è la strada più consona alle proprie vocazioni: si sente attratto dalla letteratura, dalla musica la cui conseguenza è la scrittura di molte poesie in lingua napoletana. Diventa poeta e saggista, protagonista dell’epoca d’oro della canzone napoletana.


Dalle fonti risulta che di Giacomo, molto apprezzato per la propria umiltà, non ostentasse nulla di ciò che possedeva e che si ritirasse nei luoghi più silenziosi e intimi per comporre le proprie poesie. Tuttavia, il successo vero e proprio arriva nel 1882 quando firma un contratto con la casa editrice Ricordi, pubblicando come prime poesie Nannì e Ghiammoncenne me e soprattuto Era De Maggio , tutte accompagnate dalla musica di artisti, in particolare modo del compositore tarantino Pasquale Costa, autore di canzoni popolari, melodie, marce, inni e molto altro.


Costa conosce Di Giacomo grazie al direttore del Corriere del Mattino , il quale appena lesse la poesia di Di Giacomo, pensò bene che la musica appropriata a questi versi d’amore fosse proprio quella del compositore Costa, dando così il via a una proficua collaborazione.

La perla testuale

“Era de maggio” è una delle canzoni napoletane più apprezzate e ricordate non solo dagli stessi innamorati che vantano il privilegio di respirare l’amore nella bellissima città partenopea, ma è un inno all’amore apprezzato da tutti gli amanti poiché la lingua amorosa è universale. L’immedesimazione nella situazione di dolore, speranza, sofferenza e amore è catalizzata dal dialetto napoletano, una lingua che riesce ad esprimere la convivenza di queste emozioni ossimoriche in maniera impeccabile. La canzone racconta di un amore dei primi anni del ‘900; i protagonisti sono due giovani amanti che devono salutarsi: lui, sicuramente, sarà impegnato sul fronte; lei, disperatamente, attenderà il suo ritorno. Sullo sfondo vi è un giardino di ciliegie, una primavera che segna la stagione amorosa quasi in collisione con il sentimento di sofferenza provocato dal saluto dei due innamorati. La canzone, tematicamente divisa in due parti, è caratterizzata dalla speranza di rivedersi:

“Turnaraggio quanno tornano li rose si stu sciore torna a maggio, pure a maggio stonco ccà”.

Questa è la promessa che lui, speranzoso e fiducioso, rivolge alla sua amata che, tormentata dal dolore, si chiede quasi sotto forma di preghiera:

“core, core, core mio, luntano vaje tu mme lasse, io conto l’ore chi sa quanno turnarraje”.

Metricamente questa strofa è interessante poiché contiene al suo interno tutte le caratteristiche della canzone italiana d’amore del primo ‘900: l’anafora di core, la personalizzazione di questo termine, la rima alternata (core/ore, vaje/turnerraje). Contenutisticamente, è caratterizzata dalla disperazione e dalla quasi certezza di non rivedere mai più la persona amata. Lui, esattamente un anno dopo, ritorna mantenendo la promessa, ma si tratta di un amore che non è riuscito a sopravvivere alle mancanze dettate dal tempo: lui è tornato più innamorato di prima, lei però non corrisponde più questo amore. La sofferenza, sentimento cardine di questa storia, ora appartiene solo a lui che quasi incredulo deve ammettere:

“De te, bellezza mia, m’annamuraje, si t’allicuorde, nnanze a la funtana: l’acqua llà dinto no
se secca maie e ferita d’ammore nun se sana”.

Così come l’acqua di una fontana non si secca mai, alla stessa maniera non può terminare l’amore che, ormai non più corrisposto, procura una ferita insanabile. È la storia di un amore giovane che non riesce a resistere al tempo.
Come il trascorrere di un mese o, se vogliamo, di una stagione che, per citare il Maestro “viene e va”.

Dario del Viscio

Giusy Pannone

Isabella Cassetti

Medley napoletano ad opera di Isabella Alfano

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