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Si fatica ancora a crederci. Qualcuno nel corso degli ultimi anni ci aveva sperato, non immaginando però il finale che si profila. L’ex Ilva di Taranto è prossima alla chiusura.

Il “mostro” che ha portato via il futuro di tanti tarantini (spesso bambini), che ha macchiato l’immagine della città dei due mari segnandone per sempre il futuro, sta per porre fine alla propria esistenza.

Bene, diranno coloro i quali si sono battuti ed ancora lo fanno per rendere più vivibile la vita in un’area dove i danni causati dall’acciaieria e non solo (si pensi alle poco trasparenti attività portuali) sono evidenti non appena si mette piede al di fuori della stazione centrale.

Decisamente non benissimo affermeranno di contro tutti quei lavoratori che stanno per essere messi alla porta senza alcuna garanzia. E qui veniamo al nodo cruciale del discorso.

Nei giorni scorsi ha trovato conferma la stipula di un memorandum tra il governo italiano, rappresentato dal ministro Raffaele Fitto e i dirigenti di Arcelor Mittal, proprietari dell’impianto tarantino. Questo patto alquanto scellerato prevede la chiusura dell’ex Ilva senza alcuna garanzia di una nuova occupazione per gli operai.

Accantonata la gestione amatoriale di Acciaierie d’Italia con tutto il patrimonio sperperato negli anni, lo Stato sta dunque per regalare altri miliardi ad Arcelor Mittal, con buona pace di chi nel corso dei decenni ha rischiato la vita (e qualcuno l’ha anche persa) pur di mandare avanti la produzione, pur di sopravvivere insomma.

A tal proposito, da Roma fanno sapere che “non ci sono motivi di preoccupazione”. La realtà è ben diversa. Chi di dovere, magari fulminato dall’alto o da chissà chi, farebbe bene a rinsavire per evitare di consegnare a Taranto un futuro addirittura peggiore del presente.

Felice Marcantonio

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