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Torniamo a Taranto. Sembrerà strano ma è qui che da diversi anni è in atto una sorta di “guerra fredda” tra la NATO e la Cina. Oseremo pertanto dire che, più che la città dei due mari, l’urbe ionica è diventata “la città dei due fuochi”. Oggetto del contendere è il porto cittadino.

Andiamo con ordine nella narrazione dei fatti. Nel 2020 gli alleati mettono in guardia l’Italia (all’epoca rappresentato dal governo Conte) circa possibili intromissioni di Pechino nell’attività dello scalo pugliese. L’attenzione venne rivolta in quell’occasione al gruppo Ferretti, lo stesso che ad oggi è controllato dal colosso orientale Weichai.

Urge a questo punto una precisazione.

Porto di Taranto: perché è così importante?

Bisogna sapere che la città dei due mari è da secoli un punto di riferimento commerciale, prima per il Regno d’Italia e poi per la nostra Repubblica. Non solo; come è risaputo, dopo la Seconda Guerra Mondiale gli americani (veri vincitori) costituirono in quelli che a tutti gli effetti sono Paesi “satelliti” ma che a Washington preferiscono chiamare più educatamente “partner” una serie di basi militari allo scopo di difendere la sicurezza degli Stati in questione e, nemmeno troppo velatamente, per tenerli stretti a sé.

Una delle più importanti basi americane (o NATO che dir si voglia) in Italia si trova proprio a Taranto.

Detto ciò, recuperando il filo del discorso, è chiaro che qualora la Cina (storico avversario economico degli USA) dovesse aumentare la propria influenza in uno dei “porti sicuri” a stelle e strisce, la minaccia da un punto di vista economico e politico diventerebbe piuttosto rilevante.

Restando a tre anni fa, il premier Giuseppe Conte rassicurò gli alleati, i quali però ha ovviamente mantenuto l’occhio ben puntato sui movimenti tarantini. E qui veniamo alla più stretta attualità.

La “minaccia” cinese è reale?

Dopo la Ferretti, un’altra società dall’organigramma abbastanza particolare ha messo gli occhi su Taranto e i suoi mari; stiamo parlando del Progetto Internazionale 39. La suddetta società è controllata per il 33% da Gao Shuai (stando a quanto riporta la Repubblica), imprenditore ma soprattutto delegato del governo cinese.

Chiaro che quest’ultima qualifica ha fatto drizzare le antenne tanto a Bruxelles quanto alla Casa Bianca. Lo “spettro cinese” sembra sempre più vicino.

Avendo così tracciato il quadro della situazione per sommi capi, il consiglio e l’augurio è di non attizzare il fuoco, soprattutto in questo delicato periodo storico in cui giocare ad indiani e cowboy sembra essere lo sport preferito. Ponderare bene pensieri ed azioni è sempre la via maestra.

Del resto viviamo in un mondo “globalizzato”, o no?

Felice Marcantonio

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