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illustrazione di Ilaria Longobardi (@dallamiap.arte)

“Chi va dicendo in giro
che odio il mio lavoro
non sa con quanto amore
mi dedico al tritolo”
(Fabrizio de Andrè – Il Bombarolo)

Analisi di un tipo umano, o meglio, di una “bestia” umana

Per quale motivo siamo tutti un po’ dei “tragici Fantozzi”…

Chi di noi ha mai visto in televisione, almeno una volta, qualche film con lo scomparso (e mai dimenticato) Paolo Villaggio nei panni del ragionier Fantozzi? Nessuno, molto probabilmente.

Il povero ragioniere, impiegato della Megaditta, è notoriamente una vittima prescelta, il suo subire da parte di chiunque e il suo essere soggetto mediocre e notoriamente succube ne fanno l’archetipo dell’italiano medio, medio-borghese dallo stile di vita semplice, con le ansie di una certa classe di lavoratori: probabilmente in tutti gli uffici è esistita una seduttrice un po’ doppiogiochista come la signorina Silvani, un capo esigente o un collega arrivista come il geometra Calboni, molti sono andati in giro su una vecchia utilitaria come la Bianchina di Fantozzi, ma soprattutto tutti abbiamo almeno una volta pensato di essere perseguitati da una nube temporalesca.

Eppure, a detta dello stesso Villaggio, l’uomo-Fantozzi che tutti abbiamo conosciuto e su cui tutti ci siamo fatti delle grasse risate potrebbe essere chiunque di noi, oggi che l’Italia è diventata un paese piuttosto povero in diversi sensi, se proprio vogliamo dire la verità.

E quando qualcuno di noi pensa di ribellarsi a questa condizione miserabile e vorrebbe impugnare le armi?

Diventa il protagonista dell’album di Fabrizio de Andrè: Storia di Un Impiegato.

Per carità, anche Fantozzi qualche volta si è ribellato. Ma non come l’impiegato deandreiano.

L’album è incentrato sulla figura di un giovane impiegato che, dopo aver ascoltato un canto del Maggio francese, entra in crisi e decide di ribellarsi, senza però rinunciare al suo individualismo, tentando commettere una strage e finendo in prigione, rendendosi conto solo alla fine che è necessaria, più che la lotta individuale, la lotta comune.

Scorrendo i vari brani ci è capitato su uno, in particolare: Verranno a Chiederti Del Nostro Amore.

Non abbiamo potuto fare a meno di sorridere, pensando, ad esempio, al ragionier Fantozzi, sposato con una donna che, al più, lo stima ma non lo ama. Eppure, questo brano altro non è se non la tinta fosca di una donna, fidanzata o sposata con l’Impiegato, la quale, di fronte alle telecamere, si schermisce e ripensa al loro rapporto, gesto a cui il protagonista non può che rispondere chiedendole di scegliere in autonomia il da farsi, guardando, nel frattempo, le sbarre della propria cella con sguardo malinconico. Il giovane dipendente, lo specifichiamo, è in galera per via di un suo gesto di ribellismo, perchè, conscio della miseria della propria vita, si rivolge contro i simboli del potere, con piglio sessantottino.

Ora, fermiamoci un attimo, in fondo non siamo tanto diversi anche da questo impiegato. Presi come siamo dalle nostre problematiche, dal nostro lavoro (nel caso proprio impiegatizio) e da tutto ciò che ne consegue, spesso trascuriamo con tristezza e rammarico le nostre passioni, la nostra vita e i nostri affetti, chiedendosi, una volta rientrati: tutto qui?

E, magari, è anche possibile che, con tutto l’impegno, il capo dica che siamo degli incompetenti, che siamo inutili, che preferirebbe avere qualcuno “più volenteroso”; come è possibile, inoltre, essere invisi ai colleghi i quali, alla prima occasione, voltano le spalle. Ed è possibile, infine, che al rientro a casa anche il/la proprio/a consorte trovi il pretesto buono per farci dubitare di ciò di cui siamo capaci.

Una vita misera, vero?

E’ facile, per le persone più sensibili, cadere dentro vortici pericolosi. Più la lingua batte sul tamburo, più la voglia di mollare tutto e fuggire lontano si fa vivida; in qualche caso, fortunatamente più raro, balena in mente il pensiero di far esplodere tutto. Sempre più di frequente si assiste all’emersione di individui afflitti da stress o depressione cronica, gente che si accontenta pur di tirare avanti, delegando agli eventi la responsabilità o il peso delle proprie scelte.

Ci rendiamo conto che, con la frenesia richiesta da un mondo che cambia troppo in fretta, non è facile mantenersi lucidi ed indipendenti, siamo fatti di carne e possiamo cadere facilmente nell’errore, ci lasciamo sopraffare facilmente e subiamo in silenzio. Ma, se errare è umano, perseverare è diabolico. Siamo consapevoli che un cambiamento dello status quo non può avvenire se non si parla di collettività ma possiamo, tuttavia, partire da noi stessi. Per dirla con Gandhi: “sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”.

Forse è il caso di smetterla, forse è il caso di prendere la vita in mano. Questo può sembrare un discorso banale, eppure non è così. Guardate attentamente negli occhi della persona che è accanto a voi e poi domandate, a voi stessi:

“Continuerai a farti scegliere o, finalmente, sceglierai?”

Dario Del Viscio

Verranno a chiederti del nostro amore- cover di Isabella Alfano

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