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Prendete artisti della “vecchia guardia” come la Bertè o i Ricchi e Poveri, cantanti senza direzione ma con una buona fanbase come Nek e Renga, Alessandra Amoroso o Emma, condite con qualche vincitore delle edizioni passate come Mahmood, Diodato e il Volo, qualche gruppo simpatico come i Bnkr44 e i La Sad, una dose di “gente da tormentone” come Annalisa e i The Kolors, qualche rapper che non crede troppo nel sistema come Ghali o Dargen D’Amico, una spruzzata di Maria de Filippi con Sangiovanni e Irama e infine create una polemica sull’ospite e una su un cantante in gara: John Travolta e Geolier.
Il Festival degli ultimi cinque anni rispecchia approssimativamente questa formula, sicuramente vincente a livello di ascolti e in generale di restyling del brand Sanremo nell’immaginario collettivo.

Il festival vede vincitrice la giovanissima e indubbiamente talentuosa Angelina Mango, complice un livello piuttosto medio dal punto di vista non solo dei temi (l’amore dilaga anche quest’anno in tutte le sue forme), ma proprio della qualità di scrittura.
Testi scritti da veri e propri gruppi di 3, 4 o addirittura 5 autori (non oso pensare l’organizzazione di queste sessioni di scrittura), costruiti per essere immediati, a costo di risultare elementari, accompagnati da arrangiamenti che strizzano l’occhio alla vendibilità soprattutto social.
La Cumbia della Noia non ha quella magia che probabilmente cerchiamo nella canzone vincitrice.

Neanche la serata cover/duetti riesce a svoltare il livello medio con alcuni brani che risultano quasi improvvisati probabilmente a causa delle poche prove disponibili.
Nota positiva almeno in quanto a preparazione i Santi Francesi con Skin e Annalisa con La Rappresentante di Lista.
Proprio la gara dei duetti dà inizio all’ormai tristemente nota rivolta contro Geolier, che vince la serata grazie ad un medley con Gigi D’Alessio, Guè e Luchè “battendo” Angelina e la sua cover de La Rondine dell’indimenticato padre.
Una sorta di cospirazionismo antipartenopeo inizia ad insinuarsi nei social anche riguardo le votazioni della finale e un semplice ragazzo di 23 anni che porta la sua musica nel suo dialetto viene investito da un vento di polemica dalle tinte quasi razziste. Benvenuti nel 2024.

Pattern che si ripetono ancora una volta e più che mai confermano che la gara musicale non è il fine, ma il mezzo attraverso il quale si muove una macchina che quest’anno, guardando anche solo lo share del pubblico, porterà diversi denari nelle casse dell’azienda Rai.

Antonio Montecalvo

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