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Disponibile da pochi giorni “Rush”, il terzo album dei Maneskin, accompagnato da una piccola polemica che apre alcune questioni irrisolte all’interno del mondo musicale.

Presentato con un eccentrico finto matrimonio celebrato dallo stilista Alessandro Michele e con invitati d’eccezione del mondo dello spettacolo e dello sport, è disponibile su tutte le piattaforme digitali Rush!, l’album che per molti, dopo la vittoria del Festival di Sanremo, dell’Eurovision Song Contest con conseguente tour mondiale, doveva essere la ciliegina sulla torta di un periodo florido di successi.


È di questi giorni la polemica che coinvolge il violinista Uto Ughi alla quale è seguita la dura replica di Enrico Melozzi, direttore d’orchestra che ha collaborato con la band romana nella vittoria del Festival di Sanremo.
Uto Ughi, stuzzicato durante un’intervista che precede una serie di concerti che lo vedranno protagonista, afferma che “I Maneskin sono un insulto all’arte.” .
Risponde a tono Melozzi, il quale posta su Instagram un video recente in cui il violinista non brilla certo per qualità, sottolineando come (parafraso) la musica classica non si sia saputa rinnovare al contrario degli altri generi musicali come, nel caso dei Maneskin, il rock.
Comprendo il maestro Ughi nella sua critica alla decadenza culturale che imperversa nel nostro paese, ma di certo non è colpa di quattro ragazzi poco più che ventenni, altrimenti dovremmo gettare nella pattumiera il 90% della musica mainstream, la quale, per quanto possa non essere apprezzabile ad un orecchio più educato, ha il diritto di esistere perché ha un pubblico e nel caso dei Maneskin anche molto ampio.
Si riapre dunque la vecchia “faida” che vuole divise la fazione classica da quella pop (inteso come popular, nella sua accezione originale) che si contrappone ad una visione della musica più totale e paritaria.


Personalmente da amante di entrambi i mondi ritengo sarebbe auspicabile, nel XXI secolo, una convivenza ed un rispetto reciproco tra gli artisti, nella consapevolezza che ovviamente il grande pubblico propenderà per i generi più popolari alla luce della natura stessa di determinati generi e anzi talvolta, in forma diversa, la classica potrebbe addirittura imparare alcune formule di comunicazione extramusicale.

RUSH!, dopo l’ascolto…. un commento


Tornando a RUSH!, purtroppo il nazionalismo italiano spicciolo ci ha portato in questi ultimi anni ad urlare alla novità, alla rivoluzione anticonformista, quando invece, a mio avviso, quella dei Maneskin è più una specie di “operazione nostalgia”, legittima e ben eseguita, ma lontana da qualunque forma di sperimentalismo o tentativo di innovazione. Al di là dei gusti consiglierei un ripasso della discografia degli Afterhours, dei Verdena, degli Zen Circus o dei Marlene Kuntz, solo per citarne alcuni, per tutti gli intenditori che urlavano al ritorno del rock in Italia: tanto (ottimo) fumo, ma un buon arrosto riscaldato.
Fatico a trovare un filo conduttore nei brani, che appaiono come una semplice raccolta di singoli e non come un lavoro organico. Il suono è curato e probabilmente accattivante ad un orecchio medio, ma gli elementi sono molto semplici e i testi non brillano di particolare audacia. La voce di Damiano è unica nel suo genere, ma soprattutto in studio ci si aspetta qualche sfumatura in più. La scelta della lingua inglese è una scelta che necessariamente dona un taglio internazionale e rende i brani appetibili a tutto il mondo.
Il live tanto millantato è un’altra storia, un altro tipo di performance nella quale gli elementi in ballo sono molti di più, la tenacia e la perfetta gestione del concerto da parte del frontman Damiano e degli altri tre membri è eccezionale, frutto della sfrontatezza e consapevolezza necessaria a raggiungere certi livelli di popolarità.


Tuttavia ci troviamo di fronte all’ennesimo caso di forte spinta mediatica su dei giovani molto promettenti che almeno musicalmente hanno ancora tanto da dimostrare e su cui rischiamo di avere aspettative troppo alte, che fisiologicamente non sempre potranno essere rispettate.
Dunque aspettiamo, diamo tempo di raccogliere idee ed esperienza, in altre parole: “Don’t rush!”.

Antonio Montecalvo

One response

  1. Si potrebbe discutere a lungo sull’identità dei Maneskin: chi sono oggi? Ogni volta che, con colleghi o amici, esce fuori l’argomento Maneskin, iniziano i contrasti, paragoni con il passato. Premetto che, la mia indole, mi tiene molto legato alla musica dei miei tempi, ai mostri sacri dell’epoca. Riconosco i miei limiti, è’ una cosa che vorrei facilmente superare ma non ci riesco. Conosco solo qualche canzone dei Maneskin, ascoltata alla radio quelle poche volte che decido di farlo. Un amico disse: sono i Pink Floyd del futuro. Mai bestemmia più grande sentirono le mie orecchie. Risposi in modo sgarbato, l’offesa nei suoi confronti fu la cosa più spiacevole. Pochi giorni dopo, mi resi conto che questi giovanotti della capitale, offrono spazio alla discussione, al confronto e allo scontro. Secondo il mio modesto parere, non ha senso l’analisi musicale dei Maneskin, ha senso capire il fenomeno Maneskin. È inutile fare paragoni con il passato, dietrologie o scomodare grandi icone del mondo rock, il quartetto romano è semplicemente un grande e divertente show musicale, non ha nulla di pericoloso, di turbativo o di inquieto. Poi uno è liberissimo di non farseli piacere, ma comprenderli significa comprendere il linguaggio dei ragazzi d’oggi. Il violinista Uto Ughi, oltre affermare che, sono un’offesa alla cultura e all’arte, ha anche affermato: penso che ogni genere ha diritto di esistere, però quando fanno musica e non quando urlano e basta. Forse ha dimenticato che la musica è il grande urlo dell’anima. E nel grande e divertente show musicale, i Maneskin suonano, cantano, urlano e tutto questo nella musica è lecito. Perché la musica non è una banalità!

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