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Rocco Scotellaro, poeta e studioso del mondo contadino, ha decantato la necessitá della solidarietà internazionale, della dignitá del lavoro e della libertà. Nato a Tricarico (Matera, Basilicata, Italia), la sua produzione letteraria ha raggiunto toni lirici di portata universale.

Rocco Scotellaro (Tricarico 1923 – Portici 1953) é stato uno dei maggiori poeti e intellettuali lucani impegnato nel vivo delle problematiche del secondo dopoguerra. Animato da una forte carica morale e ideale, profusa nella sua produzione letteraria e nell’impegno politico, ha assunto il valore emblematico delle lotte per il riscatto del popolo meridionale.

Maturò il suo pensiero nei drammatici anni 1943-1944 vissuti in Basilicata, terra di confinati politici come Carlo Levi, Manlio Rossi-Doria, Camilla Ravera, Emilio Sereni, Franco Venturi, Guido Miglioli e di ebrei internati, ma anche regione che, dopo l’8 settembre ’43, avviò in anticipo rispetto al centro-nord d’Italia il processo di democratizzazione della vita civile e politica in un clima irto di difficoltà e di tensioni.

Intenso fu l’impegno politico-sindacale sia nel suo paese Tricarico sia in Basilicata. Attraverso i consigli di borgo, creò una forte partecipazione ed un forte consenso soprattutto tra i contadini e i braccianti.

Il 1 maggio 1944 in occasione di un comizio nella piazza di Tricarico, sottolineó la necessitá di richiamare gli ideali della solidarietà internazionale, del lavoro e della riconquistata libertà, ponendo l’accento sulla necessità della «rieducazione morale e politica del popolo». In seguito organizzó un’imponente manifestazione per commemorare Giacomo Matteotti, ucciso da estremisti fascisti.

L’attivo coinvolgimento nella vita politica culminò con la sua elezione a sindaco di Tricarico per lo schieramento del Fronte Popolare Repubblicano, il 20 ottobre 1946, con la prima votazione democratica del dopoguerra italiano. Nel contesto rurale e agricolo del tempo, la sua Amministrazione si contraddistinse per il coinvolgimento del popolo nella risoluzione dei problemi e per la realizzazione di opere concrete a favore della popolazione, come la fondazione di ospedali, scuole, strade ed edifici pubblici.

Si rese protagonista nelle occupazioni della terra da parte dei contadini e dei braccianti, per rivendicare i loro diritti contro lo sfruttamento dei latifondisti. Cosí, l’apertura delle scuole, rappresentava una conquista fondamentale per attivare un processo di elevazione culturale e democratica dei popoli attraverso la lotta all’analfabetismo

Con il declino delle Sinistre in Italia, e dopo le vicende dell’ingiusto carcere, rassegnó le sue dimissioni abbandonando la politica attiva. In questo passaggio Scotellaro diviene poeta e studioso del mondo contadino lucano.

Si dedicò alle ricerche per il Piano di Sviluppo Regionale per la Basilicata curando la parte relativa ai problemi della scuola, commissionato dalla SVIMEZ, su invito di Manlio Rossi-Doria che dirigeva l’Osservatorio di Economia Agraria di Portici.

Partecipò alle indagini sulla civiltà contadina in Lucania, condotte da George Peck, Friederick G. Friedmann, Ernesto De Martino e lavorò su un’ampia ricerca sulla cultura dei contadini meridionali, affidatagli da Vito Laterza.

Profondo fu il suo legame con Carlo Levi, Rocco Mazzarone e il Movimento di Comunità di Adriano Olivetti.

Aperto al dibattito culturale italiano dell’immediato dopoguerra, ha lasciato un “centinaio di liriche che – a giudizio di Eugenio Montale – rimangono le più significative del nostro tempo”.

Alla poesia “É fatto giorno” (Milano, Mondadori, 1954 – Premio Viareggio, oggi raccolta nell’opera omnia Rocco Scotellaro, Tutte le poesie. 1940-1953, a cura di Franco Vitelli, Milano, Mondadori, 2004) si affianca la prosa con “Contadini del Sud” (Bari, Laterza, 1954, una raccolta di testimonianze di vita di contadini meridionali e con il racconto autobiografico “L’uva puttanella” (Bari, Laterza, 1955). Seguono le prose giovanili di “Uno si distrae al bivio” (prefazione di Carlo Levi, Roma-Matera, Basilicata Editrice, 1974) e di “Giovani soli” (a cura di Rosaria Toneatto, prefazione di Leonardo Sacco, Matera, Basilicata Editrice, 1984).

Lo spessore della produzione poetica di questo “precoce e sfortunato maestro del nostro neorealismo”, tradotta in varie lingue, emerge sui fermenti della sua terra e del suo tempo, per raggiungere toni lirici di portata universale (Rocco Scotellaro, Tutte le poesie. 1940-1953, a cura di Franco Vitelli).

Della politica visse la gioia di una vittoria elettorale forse insperata (sindaco a soli ventitré anni), ma anche la difficoltà estrema dell’amministrare, le sofferenze della calunnia dei suoi avversari politici (per un’ accusa del tutto infondata, per la quale fu incarcerato quarantacinque giorni nella cella numero sette a Matera cella che oggi porta il suo nome, poi prosciolto perché il fatto non sussisteva); sofferenze e delusioni che lasciarono un segno profondo nel suo animo e nel suo corpo. Conclusasi amaramente l’esperienza di sindaco, Scotellaro lasciò la politica e avvertì l’esigenza di uscire dal proprio mondo, per meglio comprenderlo con uno sguardo non più dall’interno ma dall’esterno: si trasferì a Portici, all’Istituto di Agraria diretto da Manlio Rossi-Doria, con l’idea di acquisire strumenti maggiori per intervenire sul Sud in trasformazione attraverso lo studio, la ricerca e la scrittura quali armi per continuare a combattere la sua battaglia.

È in quella fase che nacque l’idea di realizzare l’ampia inchiesta sui Contadini del Sud, lavoro ultimo e non ultimato per la morte improvvisa, per l’occlusione di una vena del cuore, il 15 dicembre 1953 a trent’anni; stava scrivendo anche L’uva puttanella, romanzo comunque di senso compiuto e maturo, autobiografia e al contempo iconografia del sottoproletariato, cioè di quei piccoli uomini che, come gli acini, di dimensioni ridotte ma mature, confluiranno nel mosto insieme a tutti gli altri, per dare quel poco di succo che hanno. “Noi siamo degli acini maturi ma piccoli in un grappolo di uva puttanella”, scrive.

Muore mentre stava completando quest’opera, dalla scrittura sudata e aspra, in cui vediamo l’intrecciarsi dell’ uomo con la sua terra, del mito e della magia con il realismo poetico, del tempo progressivo della storia con il tempo ciclico della natura. Rocco Scotellaro è il poeta della libertà contadina perché ha narrato dall’interno questa terra e perché nella sua scrittura percepiamo proprio la rossa terra della Basilicata, vediamo i volti dei contadini, talmente vividi, ne percepiamo le rughe, le sofferenze; questo autore ha saputo fotografare la condizione di quegli anni (di cui Carlo Levi ha parlato magistralmente in Cristo si è fermato a Eboli), ma di cui finalmente assistiamo al riscatto: da Matera vergogna dell’Italia, come ebbe a dire Togliatti, a Matera capitale europea della cultura. Bisogna ripercorrere la biografia di Scotellaro, figlio di un calzolaio e di una casalinga da cui ha mutuato l’amore della lettura, una scrivana che scriveva per il vicinato, per comprendere l’indissolubile legame tra uomini, terra e poesia. Insomma la rivendicazione parte dalla cultura. Ha studiato dai preti. Ha frequentato l’Università di Napoli ma è rientrato per la morte del padre. La sua opera è emersa per forza propria. Le sue Poesie (raccolta È fatto giorno), rappresentano per Montale “tra i versi più significativi del 900”.

Se per un ventennio ha subito il silenzio dovuto in parte al regionalismo, ad una critica inizialmente riduttiva da parte di alcuni intellettuali di sinistra (Alicata, Giorgio Napolitano, Giorgio Amendola), oggi è arrivato il tempo del riscatto. Una vita, quella di Scotellaro, intrisa di miseria e di dolore: ha conosciuto l’umiliazione del carcere che lo segnò a tal punto da lasciare quel mondo e andare a studiare a Portici la vita dei contadini, di cui significativo è il saggio Contadini del Sud, storie vere prese dalla vita di cinque contadini, e i racconti autobiografici, come Uno si distrae al bivio, dove l’io narrante si sdoppia e diventa l’archetipo dell’uomo e della giovinezza pericolante. Il filo rosso che lega tutte le opere sono quei rimandi intertestuali che si ritrovano nella scrittura che intreccia l’uomo con la sua terra come la vite con il suo tralcio.

Sempre nuova è l’alba

Non gridatemi più dentro,

non soffiatemi in cuore

i vostri fiati caldi, contadini.

Beviamoci insieme una tazza colma di vino!

Che all’ilare tempo della sera

s’acquieti il nostro vento disperato.

Spuntano ai pali ancora

le teste dei briganti, e la caverna –

l’oasi verde della triste speranza –

lindo conserva un guanciale di pietra….

Ma nei sentieri non si torna indietro.

Altre ali fuggiranno

dalle paglie della cova,

perchè lungo il perire dei tempi

l’alba è nuova, è nuova.

[1948] (Rocco Scotellaro)

illustrazione di Ilaria Longobardi (@dallamiap.arte)

Alessandro Fusaro

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