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A poche ore dal voto resta la domanda: “Perché nessuno ci ha fatto capire nulla?”

Domenica 12 giugno (domani) dalle 7 alle 23 gli italiani sono chiamati al voto, oltre che per eleggere il nuovo sindaco in parecchi comuni sparsi qua e là per la penisola, anche per esprimere il proprio parere nell’ambito del cosiddetto “referendum sulla giustizia“.

I cinque quesiti del referendum

L’iniziativa è stata promossa dalla Lega e dai Radicali nell’ambito di un dibattito politico molto acceso e parecchio complesso. I quesiti su cui ogni cittadino potrà esprimere il proprio parere sono cinque: si va dalla separazione delle funzioni per i magistrati alla legge Severino, passando per i limiti della custodia cautelare fino alle ultime due domande, più strettamente tecniche, che riguardano il funzionamento del Csm.

Detta così è chiaro che in pochi (tecnici o appassionati della materia) ci capiranno già grosso modo qualcosa. Per noi altri, ignoranti (e siamo la maggior parte) i titoli di facciata servono davvero a poco. Confidiamo allora che qualcuno, politici, giornalisti, giuristi, studiosi o chi per loro ci venga in aiuto spiegandoci “potabilmente” i singoli quesiti.

Questo era l’augurio che però, a meno di 24 ore dal voto, resta come un grande punto interrogativo nella nostra mente. In queste settimane di avvicinamento alla data fatidica nessun cittadino “medio” è riuscito a comprendere le motivazioni del “SI” e del “NO” (se qualcuno vi dirà che ha capito tutto sta palesemente mentendo).

Le “colpe” di politici e media

La sensazione è che i tecnicismi l’abbiano fatta da padrone; il che è più che giustificato per gli esperti del settore, ma decisamente meno, ad esempio, per i politici e per i media in senso lato.

I primi non hanno fatto altro che imparare a memoria una sorta di “poesia” e recitarla puntualmente davanti ad un microfono. Questi hanno dimostrato di non avere la benché minima cognizione di causa di ciò che stavano dicendo. Per giunta, hanno messo da parte anche una delle prime qualità che dovrebbero possedere: l’oratoria.

I giornalisti, invece, sono i colpevoli principali di una campagna elettorale tra le più confuse della storia. Questi ultimi, infatti, dovrebbero rappresentare il tramite tra il potere e il popolo; mettendo in pratica tutta la loro abilità nella ricerca delle parole giuste, erano chiamati nella fattispecie a togliere la nebbia dai nostri occhi, sempre più appannati. Nei fatti, purtroppo, nessun telegiornale, nessun sito d’informazione né semplici opuscoli cartacei, ci hanno fatto capire nella maniera più semplice possibile, “terra terra”, per cosa andremo a votare domani.

Il referendum “del dubbio”

Sorgono, a questo punto, due domande. La prima: “Perché nessuno ci ha fatto capire nulla?“. Eppure, qualcuno esperto in materia ci sarà di sicuro, così come chi può tradurre i quesiti dal linguaggio tecnico a quello “volgare”. A questa domanda è difficile darsi una risposta. Magari vogliono farci votare perché nei palazzi decisionali non riescono a cavare un ragno dal buco e scaricano su di noi la patata bollente. Oppure chi avrebbe dovuto spiegarci il senso di questo referendum crede davvero che noi altri abbiamo capito, ma se così fosse si offenderebbe l’intelligenza di parecchi.

La seconda domanda, invece, è più pratica: “Bisogna andare a votare?“. In linea di principio e in generale sì, lo si deve a quanti ci hanno rimesso la vita per darci questo diritto. Ma nel caso specifico, credo che il beneficio del dubbio resterà in molti fino all’ultimo.

Coglieremo l’attimo oraziano e sceglieremo tra il voto sempre e comunque, per la serie “ndo cojo cojo”, e il poco ortodosso, ma a volte forzato, astensionismo.

Felice Marcantonio

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