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Il 2023 parte che meglio non si poteva con l’arresto più atteso degli ultimi decenni, quello di Matteo Messina Denaro.

Finalmente saranno cestinati le fotografie di un giovane “Siccu” e i suoi identikit per lasciar spazio ad un probabile confronto con il latitante più pericoloso d’Europa.

Possiamo essere speranzosi di slegare matasse rimaste ingarbugliate per decenni interi? Future rivelazioni potranno riguardare rapporti tra mafia e Stato o infoltire accuse relative a clan rivali.

Chi è stato Messina Denaro

L’ultimo capo dei capi ha una storia di quarant’anni di criminalità alle spalle e per questo si guadagnò il secondo soprannome: Diabolik.

Il suo percorso ha inizio nei gloriosi anni ’80 quando si allea con Cosa Nostra durante la sanguinosa guerra di mafia che seminava vittime giornalmente.

Ma nel ’92 decide di iniziare a dimostrare la sua disumanità coalizzandosi con i Brancaccio ed i clan nel trapanese, sotto la guida di Riina, per cercare di eseguire l’attentato a Falcone ed al ministro Claudio Martelli, giunti a Roma per partecipare alla trasmissione di Maurizio Costanzo. I malavitosi non fallirono il colpo, come alcuni pensano; fu il capo a richiedere il rientro della squadra per compiere in maniera differente la strage.

La sua brutalità viene nuovamente confermata quando a mani nude strangola l’amante del capocosca rivale di Alcamo, Vincenzo Milazzo, incinta di tre mesi, pochi giorni dopo l’assassinio del futuro padre.

Il nome del ventenne entra indelebilmente nella memoria degli italiani con gli attentati a Firenze, Milano e Roma che provocarono 10 morti e più di un centinaio di feriti.

La lunga latitanza

Comprese perciò che la soluzione migliore fosse quella di scomparire, partendo per una vacanza presso Forte dei Marmi.

Inizia così la lunga latitanza del malavitoso.

Sono molte le operazioni nate per rinchiuderlo. I collaboratori di giustizia iniziarono a parlare inserendo tanti piccoli tasselli che aiuteranno gli inquirenti nell’inseguimento dell’uomo d’onore. E come in ogni storia cruenta, il protagonista è tracciato banalmente grazie a delle lettere d’amore scambiate con la sua amante Maria Mesi che confermarono gli spostamenti tra Aspra e Bagheria.

In questa maniera nel 2000 – due anni dopo la morte del padre e dell’acquisizione per successione del trono del clan – fu possibile ricostruire un quadro completo permettendo la condanna in contumacia alla pena dell’ergastolo.

Matteo Messina Denaro: figura ancora misteriosa

Sono mille i segreti che volteggiano intorno ad ogni evento dell’ultimo capo dei capi, segnando enormi punti di domanda.

Va da sé che il forte senso di appartenenza ad un Paese come l’Italia spinga i cittadini onesti a voler essere a conoscenza di ogni motivazione circa i suoi delitti più incresciosi, dal primo all’ultimo. Partendo dalla strage di Capaci, a quella di Firenze, proseguendo per la morte del piccolo Di Matteo, fermandosi nel momento in cui non avrà più verità da raccontare.

Utopia, chiaro.

Ma le domande non si fermano al passato.

Quali saranno le sorti del clan? Messina Denaro avrà studiato il piano per non far morire il suo crimine, ma sicuramente non sarà facile mantenere il livello di potere maturato con il tempo e con gli insegnamenti inculcati fin dalla tenera età.

Le speranze sono da riporre nelle mani di uno Stato con strumenti forti, nella Magistratura. Anche se la paura si nasconde dietro al fenomeno dell’omertà e dei depistaggi bisogna essere fiduciosi circa il corretto movimento della giustizia nei confronti del pupillo di Riina.

Elena Zullo

One response

  1. Il latitante che, di latitante, nei fatti non lo era. Una cattura che ha il sapore acre della consegna. Molti dubbi rimangono, era quasi a casa sua, svolgeva le sue attività illecite, oltre a fare i porci comodi propri. Tra questi anche l’intervento chirurgico per combattere un tumore, con tanto di selfie con il medico che ha effettuato l’operazione. Visto i fatti, la vita da latitante non sembra difficile, lo è molto di più quella di coloro che, di buon mattino, si recano al lavoro per portare un pezzo di pane a casa. Vero è la presenza di una cultura omertosa, le coperture di parenti, amici e compaesani. Però, se fosse una consegna voluta perché il nemico di tutti, di nome tumore, fortunatamente anche dei mafiosi, avrebbe inciso sulla sua scelta? Ricordo che, il nostro paese tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti, carcerati compresi. Meglio morire in carcere? Quello che imbarazza e spaventa, è tutta questa esaltazione per aver catturato un latitante dopo 30 anni. Siamo sicuri che è una vittoria? In attesa dei fatti che smentiscono i troppi dubbi, mai come in questi giorni è opportuno ascoltare la canzone del maestro, nonché corregionale del mafioso, ” Povera Patria”, di Franco Battiato scritta nel 1991. Guarda caso i tempi coincidono, poco più di 30 anni…….

    Povera patria
    Schiacciata dagli abusi del potere
    Di gente infame, che non sa cos’è il pudore
    Si credono potenti e gli va bene quello che fanno
    E tutto gli appartiene
    Tra i governanti
    Quanti perfetti e inutili buffoni
    Questo paese devastato dal dolore
    Ma non vi danno un po’ di dispiacere
    Quei corpi in terra senza più calore?
    Non cambierà, non cambierà
    No cambierà, forse cambierà
    …………………………………………….

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