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La retorica della performance da record continua. È di questo che si parla negli ultimi mesi: oltre al diritto allo studio, gli studenti universitari ormai pretendono non solo investimenti, residenze, mense, ma, al primo posto, la salute mentale.

I numeri salgono: l’ideologia del merito uccide

42 pagine per dire addio.È successo di nuovo, a Chieti un altro studente ha scelto di togliersi la vita. Aveva mentito sul rendimento accademico e il suo malessere lo ha portato ad un gesto estremo.

Questo caso, purtroppo, è solo l’ultimo di una lunga scia di dolore. Si registrano ormai una serie di suicidi commessi da giovani universitari. In ogni storia il filo conduttore è sempre lo stesso: esami non sostenuti e la conseguente vergogna.

Palermo, Milano, Napoli: la media annuale di questi episodi sta crescendo a dismisura. Secondo una ricerca, su un campione di 4.760 studenti universitari italiani, il 21,3%, 21,1% e 36,1% degli intervistati ha confessato rispettivamente un disagio psicologico lieve, moderato e grave.

Pressione sociale, paura di fallire, sensi di colpa, bugie: il mondo universitario è diventato sempre più un luogo di oppressione e ansia. Forse, non si ripete abbastanza che i percorsi scolastici sono appunto percorsi, e ognuno li intraprende a modo proprio.

La necessità di ottenere un voto alto, il timore di non riuscire a laurearsi in tempo, la concorrenza con i compagni: sono passaggi che in molti hanno vissuto. Tutto questo in nome di un concetto di merito che non tiene conto delle storie personali, delle difficoltà e delle fragilità di ognuno. Ma dentro e fuori l’università vige una cultura che valorizza solo il successo e criminalizza chi è fuoricorso, non tenendo conto del benessere mentale.

Necessità di un cambiamento: anche il fattore economico conta

Secondo l’opinione comune, in Italia per chiunque sarebbe possibile raggiungere i propri obiettivi solo grazie alla determinazione, anche partendo da una situazione di svantaggio. Numerosi rapporti, invece, sostengono diversamente: l’Italia è un paese dove la mobilità sociale non esiste praticamente più. Un Paese dove le diseguaglianze sociali, culturali ed economiche sono abnormi. Un Paese con uno dei più alti tassi di abbandono scolastico tra gli Stati Ue.

Da notare come il 35% degli universitari ha mentito almeno una volta in famiglia sulla propria carriera accademica mentre il 17% lo fa sistematicamente, specialmente chi studia lontano da casa. Bugie che si legano al senso di responsabilità nei confronti dei genitori e dei sacrifici compiuti da questi per mantenere il percorso accademico.

Perché anche il fattore economico genera pressione sociale. Il nostro è un sistema che offre poche borse di studio, pochi posti letto e richiede tasse molto alte. Senza dimenticare i costi dell’affitto per chi è fuori sede. Insomma, un sistema di formazione in cui il diritto allo studio è sopraffatto dalle disuguaglianze.

Supporti psicologici

Esistono tracce di supporti psicologici in molte scuole e università. Ma le risorse economiche e il personale a disposizione risultano insufficienti. Ciò dovuto al fatto che non godono di finanziamenti dedicati e di un monitoraggio preciso del loro lavoro.

Interessante, a tal proposito, la proposta avanzata dalla ministra dell’Università e della ricerca, Anna Maria Bernini, di predisporre un provvedimento finalizzato alla creazione di un presidio per il benessere psicologico degli studenti, da concordare con gli atenei.

Inoltre, è stata inoltrata una proposta di legge sul supporto psicologico, presentata dall’Unione degli universitari e dalla Rete degli studenti medi.

Depositata alla Camera, l’iniziativa prevede l’istituzione di presidi psicologici in tutte le scuole e le università italiane. L’idea nasce dopo i risultati della ricerca “Chiedimi come sto”, condotta da Spi Cgil e concentrata in particolare sulle condizioni di salute mentale degli studenti post-pandemia. Essa ha dimostrato come il 59% degli oltre 30mila intervistati abbia sofferto di attacchi d’ansia e solitudine, il 28% di disturbi alimentari e il 14,5% abbia vissuto episodi di autolesionismo.

il 90% degli studenti ritiene utile un supporto psicologico nella propria scuola o università. Ben 1 su 3 vorrebbe usufruirne.

Secondo i promotori, la proposta punta ad istituire, regolare e finanziare un servizio di assistenza psicologica, psicoterapeutica e di counselling scolastico e universitario “che possa basarsi su personale professionista e interfacciarsi con il servizio sanitario territoriale – dice Camilla Velotta, dell’Esecutivo degli studenti medi – chiediamo che lo Stato investa almeno cento milioni di euro all’anno per arruolare sul territorio dei team multidisciplinari di professionisti, le cui competenze devono garantire l’assistenza in relazione alle necessità specifiche degli studenti”.

Non basta. È necessario promuovere un approccio diverso all’istruzione superiore che metta al centro lo sviluppo umano, la creazione di senso critico e il benessere psichico. Un approccio che contribuisca a creare cittadini consapevoli e non automi da prestazione. L’università dovrebbe innalzare l’individuo e svincolarlo dalle catene dell’ignoranza.

È ora che le istituzioni se ne prendano cura, è ora di un repentino cambio di rotta. Perché di università non si muore, di indifferenza sì.

Chiara Vitone

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