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La forza del Covid colpisce anche i tradizionali rituali del lutto

illustrazione di Ilaria Longobardi (@dallamiap.arte)

«Curva in leggero calo ma mai così tanti morti nella quarta ondata: 360».

È bastato sentire l’edizione delle 20 di un tg nazionale per avere la contezza di come questo virus continui a mietere vittime: uomini, donne, bambini, anziani, amici, amanti, persone. Persone che non possono essere salutate con dignità.

Il saluto è un gesto di riconoscenza e di conoscenza, è un simbolo di cortesia e di generosità, è un modo per promettere che non ci si dimenticherà mai. In un periodo particolare come quello che stiamo tuttora vivendo, scambiare un saluto diventa difficile anche con chi, per questo virus, ha perso la vita. Evitare qualsiasi tipo di contatto per limitare il contagio ha fatto sì che venissero meno i rituali del lutto, tipici della Calabria.

Il significato dei rituali del lutto.

In era pre-covid, i calabresi erano abituati a salutare i loro cari attraverso una serie dei riti il cui compito era quello di accompagnare il defunto, verso l’aldilà, in maniera dignitosa affinché avesse con sé tutto il necessario per intraprendere questa nuova vita.

Nella tradizione popolare, l’incontro tra vivi e morti non è concesso se non in luoghi deputati allo scopo: i sogni. Il defunto è raccontato come un essere che ha nostalgia della vita ma, in realtà, è chi resta che ha un’inguaribile nostalgia della persona che non c’è più. Infatti la nostalgia e il dolore devono essere presi in una rete di significato il cui scopo è che il defunto diventi una buonanima. L’anima del morto deve pacificarsi e i riti del lutto servono a favorire questo processo.

In cosa consistono?

Questi rituali prevedono una carnevalizzazione della naturale quotidianità, difatti viene sovvertito l’ordine delle funzioni giornaliere, nonché viene sconvolta anche la sistemazione abituale della casa. Il salotto, ad esempio, diviene il teatro della morte, subendo una trasformazione finalizzata ad accogliere coloro i quali intendano dare l’ultimo saluto al defunto.

Questo spazio della casa sarà irriconoscibile a quest’ultimo, il quale non riuscirà a distinguere la dimora in cui ha sempre abitato tanto da velocizzare il suo viaggio. Nel salone le sedie saranno accostate alle pareti per far spazio alla salma i cui piedi dovranno essere necessariamente rivolti verso la porta; tutti gli specchi dovranno essere coperti affinché non si corra il rischio che l’anima del defunto ne resti impigliata.

Il lutto instaurerà un regime protetto e lo farà con l’ausilio della comunità che capisce e partecipa. Vivere in questo teatro vuol dire vivere in un ordine simbolico controllato; De Martino riteneva che si partecipa ad una ragione profonda di questo ordine. Tutte le volte in cui c’è un rito, allora c’è anche un mito di fondo e quindi un modo per entrare in contatto con questo mondo, che sebbene sia carnevalizzato, è visto come unica strada sia un senso storico che metastorico.

Il ruolo della donna.

Non c’è un reale rapporto tra il dolore e il cerimoniale della crisi del cordoglio poiché tutto diventa pura formalità. Il vestirsi di nero delle donne, l’osservare il lutto per un determinato periodo di tempo in dipendenza alla vicinanza che si ha col defunto, nonché il rituale pianto sono delle pure convenzioni che, ad oggi, sono rispettate da donne piuttosto anziane. Un esempio può essere il pianto rituale, il quale è una forma di pianto in metro di cui si hanno attestazioni già nel mondo greco e, successivamente, diffusosi in tutto il sud Italia. Questo pianto consiste in un ondeggiamento del corpo accompagnato dalla recita di alcuni versi. Le forme del pianto sono standardizzate, quindi con le stesse parole donne diverse piangono le diverse persone che hanno perso. Dunque, se ne deduce che il dolore è vero ma il pianto è finto.

I rituali del lutto oggi.

Oggi è difficile rispettare tutta la ritualità che caratterizza l’ultimo saluto al defunto. Si sono persi e continueranno a perdersi buona parte di questi gesti, che altro non sono se non simboli. Simboli di una comunità, simboli di vita e simboli d’amore.

È proprio vera, anche se banale, quell’ espressione «nessuno muore finché è vivo nei cuori di chi resta». Ma per i calabresi quanto può essere rassicurante questo modo di pensare se non riescono a rendere grazie, per l’ultima volta, al defunto così come avrebbero voluto?

Isabella Cassetti

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