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“Venere degli stracci”-Michelangelo Pistoletto

Sta spopolando sulla piattaforma social tiktok un trend che vede al centro delle polemiche la nota azienda di ultra-fast fashion Shein. L’allarme sarebbe partito da Brighton, dove un’acquirente avrebbe trovato dentro il suo pacco un’etichetta con la scritta “Aiuto”.

La notizia, spopolata nel giro di poche ore, ha lasciato non poche perplessità: in tanti si sono fiondati alla ricerca delle etichette dei loro acquisti o sullo store online nell’ipotesi che i dipendenti stessero chiedendo aiuto per i ritmi lavorativi stancanti a cui sono sottoposti.

Shein infatti, nata nel 2008 a Guangzhou dall’imprenditore cinese Chris Xu come azienda di abiti da sposa, non è ben ricordata per la sua etica lavorativa.

Secondo un’indagine del 2021 condotta dall’ONG svizzera Public Eye, i dipendenti di Shein lavorano 75 ore alla settimana fino a 14 ore al giorno con un solo giorno libero al mese, a dispetto della legge cinese che prevede un massimo di 40 ore settimanali e 36 ore di straordinario (Diario Prevenzione ndr).

Shein, tra successi e scandali

Shein, presente in 220 nazioni e con ben 10.000 dipendenti, ha reso le spedizioni gratuite il suo punto forte; le spedizioni, infatti, sono gratuite per ordini superiori ai 25 euro e i prezzi “democratici” che possono tendere al ribasso con l’uso di codici sconto offerti dagli influencer, hanno favorito i cosiddetti “acquisti bottoni”, ossia la moda di acquistare capi di abbigliamento Shein in grosse quantità.

L’acquisto compulsivo di capi d’abbigliamento non è però in linea con i criteri di sostenibilità. Secondo il World Resources Institute, per realizzare una maglietta di cotone occorrono 2.700 litri di acqua, l’equivalente del consumo medio che una persona beve in due anni e mezzo (TPI ndr).

Shein, oltre a non essere un modello di sostenibilità, imita piccoli brand e designers in ricerca di popolarità e guadagno ed è stata più volte accusata di plagio da parte di aziende come la AirWair International, che sta alle spalle dei creatori degli iconici stivali Dr. Martens o di Kikay, azienda che produce orecchini artigianali e non in vendita presso i rivenditori (Giornalettismo ndr). 

La generazione z, ossia la fascia di popolazione nata dopo il 1996, sembra essere il target di maggiore riferimento. La spiegazione potrebbe ricollegarsi all’uso dell’applicazione che, attraverso algoritmi sofisticati, seleziona gli articoli di maggiore interesse nel pubblico giovanile. Acquisti fra l’altro incentivati con giochini dell’app che prolungano l’esperienza di shopping, offrendo dei buoni d’acquisto.

Eppure sorprende scoprire che la generazione z, vittima di questa logica di shopping compulsivo, sia la stessa generazione che si preoccupa della crisi climatica, è sensibile ad un’alimentazione rispettosa degli altri esseri viventi e  sia apparentemente consapevole di alcune scelte d’acquisto. Ma non in questo caso.

                                                                                                                                                                                      Carmen Allocca

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