Categories:

illustrazione di Ilaria Longobardi (@dallamiap.arte)

Ogni venerdì il campanello della mia vicina di casa inizia a suonare incessantemente fin dalle prime luci dell’alba. Si recano da lei coloro i quali sentono, percepiscono e sono sicuri di aver contratto l’affascino. Tale termine deriva dal latino, fascinum, ed ha il significato di malocchio, stregoneria e maleficio.

L’affascino, noto anche come piccia, è una maledizione che si origina da un’osservazione malevola o benevola di una persona nei confronti di un’altra. Tale piccia si realizza quando una persona è mossa da sentimenti negativi quali l’invidia, la cattiveria nonché il rancore verso un’altra persona.

Una situazione tipica, ormai  alquanto nota nell’immaginario collettivo calabrese, è la seguente: una persona lancia la piccia ad un’altra persona se di questa ne invidia la bellezza, la ricchezza e l’intraprendenza. Questa è una forma di affascinazione attiva poiché colui che “affascina” è consapevole di ciò che dice ed afferma, dunque butta la sua maledizione essendone cosciente. Tuttavia, esiste anche una forma di affascinazione passiva che consiste nel lanciare una maledizione inconsapevolmente e involontariamente. Tale forma si verifica essenzialmente con i neonati o con i bambini in genere. Infatti, spesso si sente dire “quant è bell su picciulidd, for affascin”, ossia “quanto è bello questo bambino, non voglio affascinarlo”. Due sono gli attori protagonisti di questa scena che è possibile definire antropologicamente teatrale: colui che lancia l’affascino e colui che lo riceve. All’interno di questo scenario, questi due coprotagonisti sono rispettivamente noti come “u picciatur” e “l’affascinat”. Quest’ultimo capisce di essere stato colpito da una maledizione in quanto accusa alcuni sintomi che sono riconducibili alla piccia.

Tra i sintomi più comuni è possibile ricordare una forte sonnolenza, un intenso alamento, il lacrimare e la nausea. Tuttavia, vi è un altro sintomo alquanto noto e più evidente degli altri appena nominati: la sfiga. L’affascinato si accorge che tutti i suoi progetti sembrano essere ostacolati da una forza negativa che percepisce nell’ambiente a lui circostante. Quest’ultimo sintomo spinge l’affascinato a recarsi dall’affascinatur, la quale è la terza attrice coprotagonista che si inserisce nel magico mondo della superstizione calabrese e meridionale in genere. A differenza degli altri due protagonisti, il picciatur e l’affascinato, i quali possono essere sia uomini che donne di qualsiasi età, l’affascinatur deve essere necessariamente donna in quanto le singole parti che compongono il rito dello sfascino possono essere divulgate e apprese, durante la notte di Natale, solo da donne.

Il rito dello sfascino ha l’obiettivo di levare l’affascino e i suoi sintomi da coloro che lo hanno contratto attraverso una successione di gesti, di filastrocche e di preghiere che si ripetono all’interno di uno schema ordinato. Dunque, l’affascinato si reca dall’affascinatur affinché questa esegua su di lui il rito dello sfascino il quale deve restare sconosciuto al picciatur e all’affascinato. Quest’ultimo, dopo essere stato accolto in casa dell’affascinatur, si siede accanto a questa la quale inizierà a bisbigliare il Padre nostro e l’Ave Maria disegnando sulla fronte dell’affascinato la croce di Cristo. La successione delle preghiere è interrotta da un forte alamento il quale è sintomo del passaggio della piccia dall’affascinato all’affascinatur. Quest’ultima libera l’affascinato dalla piccia passandola a sé stessa. Affinché l’affascino venga eliminato totalmente, l’affascinato deve riempire una bacinella d’acqua e, attraverso una riproduzione simbolica del segno della croce, inserire in essa del sale o dell’aceto. Questa soluzione sarà utilizzata dall’affascinato per lavare il suo viso attingendo con una mano nella bacinella e riproponendo sul suo viso, per nove volte, il segno della croce. Una volta terminato tale passaggio, la soluzione di acqua e sale o di aceto deve essere gettata in un luogo lontano dalla casa affinché l’affascino si allontani. Il rito dello sfascino si conclude con il lavaggio del viso da parte dell’affascinato il quale si sentirà privo di quei sintomi che fino a poco prima lo infastidivano. Un ultimo passo chiude e suggella il rito: donare qualche monetina all’affascinatur. Si tratta di una cifra irrisoria, anche cinque centesimi, in quanto il valore di questo dono è puramente simbolico.  

Tale rito si può svolgere tutti i giorni ma, quando l’affascino è alquanto forte, è necessario rivolgersi all’affascinatur di venerdì. Questo è un giorno simbolico per la tradizione cristiana in quanto è il giorno in cui Gesù morì per poi resuscitare la domenica. Difatti, è il venerdì il giorno in cui gli affascinati, uomini e donne di tutte le età, si recano dalla mia vicina, la quale è nota come una delle ultime affascinatur del paese.

Oggi, è difficile rintracciare ragazze che intendano apprendere il rito dello sfascino durante la notte di Natale. Questo compromette la trasmissione del rito alle generazioni future. Il mancato interesse dei giovani verso questa pratica, secondo alcuni antropologi, nasce da un assente rapporto con la chiesa e con Dio. Affermare ciò può sembrare alquanto strano poiché fede e superstizione, per loro natura, sono incompatibili. In realtà, le affascinatur affermano che l’affascino sia voluto da Dio. Dunque, da un mancato rapporto con Dio ne consegue una forte miscredenza circa il valore dell’affascino e del rito dello sfascino. Oggigiorno, l’affascino è ancora un nostro tratto culturale alquanto presente nella nostra quotidianità ma i dubbi circa la sua persistenza nella cultura calabrese sono molti e ben radicalizzati.

Isabella Cassetti

No responses yet

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *