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Quando cerchiamo sul dizionario il termine gogna, immediatamente veniamo rimandati al suo significato principale, ossia “strumento punitivo, di contenzione, di controllo, di tortura” costituito inizialmente da un collare in ferro e poi da due tavole in legno unite da una cerniera che si chiudevano attorno a testa e polsi del condannato, ed è, tra l’altro, l’immagine che si è consegnata a noi tramite le rappresentazioni filmografiche.

Questa pena, che ha la prima attestazione documentale nell’820 d.C., in epoca altomedievale, era applicata in genere per crimini minori, come le truffe e i piccoli furti; tuttavia ci sono frequenti ed attestati casi in cui veniva applicato dai ceti dominanti per esporre un capro espiatorio ai malumori delle folle, che su di essi riversavano le proprie tensioni, li umiliavano e li bersagliavano con vari oggetti, dalle pietre allo sterco, fino a provocare delle vere e proprie ustioni con tizzoni roventi.

In sintesi, la gogna era una pena pensata per esporre qualcuno al pubblico ludibrio, e da qui è nata addirittura l’espressione gergale mettere alla gogna, alla berlina , sinonimo di scherno, derisione e modo per svergognare qualcuno.

Con il cambiamento del pensiero e della concezione dell’uomo nell’epoca dei Lumi, un illustre esponente dell’Illuminismo nostrano, Cesare Beccaria, nel suo saggio Dei delitti e delle pene (1764) tra le varie critiche alle pene allora in uso cita (e critica) con parole aspre la gogna, in quanto lesiva della personalità. Su influsso del pensiero beccariano, subito dopo la fine della Rivoluzione francese, in molti Stati fu abolita, fino alla sua ultima comparizione, a Panama, nel 1995.

Eppure, se la gogna come strumento di tortura non viene più usato dallo Stato, non è svanita l’espressione gergale a esso collegato né il suo scopo o i comportamenti a questa collegati. Abbiamo ragione di credere che la gogna non solo sia sopravvissuta, ma si sia evoluta con i tempi, diventando uno strumento di tortura virtuale, che sovente viene chiamata gogna mediatica, ossia l’applicazione, fatta con i nuovi strumenti dei media, del vecchio principio del “nemico assoluto” da additare all’opinione pubblica, per orientare le pulsioni distruttive potenzialmente sovversive, i famosi “due minuti di odio”, per dirla con l’Orwell di 1984.

Per essere terribilmente attuali, durante l’ultimo anno, in piena pandemia, abbiamo vissuto e subito quotidianamente l’uso della gogna mediatica, indirizzato dai media contro determinate categorie, ritenute responsabili della propagazione del contagio (ad esempio “i runner”, “i discotecari”,”quelli che portano a spasso il cane” o più frequentemente “i giovani”) facendo una cosa molto semplice, ossia attuando “discriminazione ed emarginazione” che in tempi normali condanniamo in toto, ma di cui raramente siamo stati in grado vedere le sfumature. Quella dell’accusa e dell’accanimento, nella nostra cultura e nel nostro essere umani in quanto tali, è una caratteristica preesistente e rientra nel campo delle basse pulsioni, ma quando queste si rivolgono in modo generico contro intere categorie, entriamo a gamba tesa nel campo del totalitarismo.

Se ci facciamo caso, lo strumento della gogna mediatica ritorna con vigore a ogni restrizione causata dall’aumento dei casi di Covid-19; onde evitare di suonare negazionista bisogna fare la premessa che il virus esiste, circola, e sono innumerevoli fattori che permettono il suo proliferare, tra cui comportamenti irresponsabili e/o disattenti, ma ciò che si costruisce intorno (ed è quello a cui dobbiamo prestare attenzione) è un anello di rabbia popolare che si sfoga contro alcune categorie, rabbia che fa comodo a chi è al potere, che da bersaglio diventa eccelso tiratore, rabbia che veicola contro altri per non rispondere mai delle proprie inadempienze, incompetenze e, spesso, anche del proprio parassitismo.

Un esempio? Basta leggere i commenti della gente sotto agli articoli di molto note testate giornalistiche per rendersene conto, la maggior parte di essi esprimono scherno, rabbia e soprattutto bersagliano qualcuno: in parole povere, la testata non ha fatto altro che esporre quel qualcuno al pubblico ludibrio, onde per cui è sufficiente scrivere titoli altisonanti e allarmanti per scatenare la furia collettiva. Il meccanismo è sempre lo stesso ma passa inosservato, ed in parte è anche per colpa nostra, che non siamo in grado di vedere al di là del nostro naso, che pensiamo sempre più frequentemente a come sopravvivere, anzichè a vivere e capire l’imbroglio che si consuma proprio sotto al nostro naso.

In conclusione, evitando di scendere troppo nei campi di politica e filosofia, il compito di noi uomini moderni, eredi dei Lumi e della ragione applicata ai nostri sistemi di vita e di pensiero dovrebbe essere, oltre a leggere ciò che è scritto senza fermarci al titolo, quello di farci un’opinione senza cadere negli eccessi dell’ira popolare, nei pettegolezzi di piazza, di agire con coscienza e soprattutto, di non permettere a questi metodi punitivi ancestrali di sopravvivere e diffondersi: la gogna è una trappola, dalla quale dobbiamo saperci affrancare, nella quale non dobbiamo cadere se veramente ci reputiamo individui pensanti. Finchè sarà così non potremo mai definirci “moderni”, nè tantomeno “liberi”. E’ una bella utopia, ma non è impossibile, il potere di cambiare le cose è sempre e solo nelle nostre mani.

Dario Del Viscio

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