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Verdena. La band bergamasca si riconferma icona della musica italiana

Un articolo che ha l’umile pretesa di presentare l’ultimo album dei Verdena costringe l’autore ad un tentativo di analisi tutt’altro che convenzionale e obiettivo, cercando di rendere omaggio ad una band che ha riscritto la storia del rock in Italia e allo stesso tempo ricercando una serie di spunti biografici e artistici che ritengo possano essere d’aiuto e d’ispirazione per i nostri lettori come ammetto esser stati per me. 
 

La storia dei Verdena inizia come quella di tante band (o aspiranti tali) negli anni ‘90, esattamente come quelle presenti nel nostro immaginario collettivo: due fratelli, Alberto e Luca Ferrari, cresciuti nella provincia bergamasca, i primi strumenti in tenera età e luoghi di fortuna adibiti a sala prove, la voglia di emulare le band storiche del rock ascoltate fino a consumare i dischi dello zio, il desiderio viscerale di fare musica a tutti i costi. 
Dopo vari bassisti poco convinti dalle possibilità dei fratelli Ferrari e varie esperienze di nicchia, è Roberta Sammarelli, ex studentessa di pianoforte e già chitarrista in una band femminile a dare la svolta alla solidità della band.
Le demo con la formazione definitiva fanno il giro di varie etichette discografiche indipendenti, fino ad arrivare nel ‘99 alla firma di un contratto con la Black Out/Universal
Ad eccezione dei primi due album registrati sotto la supervisione di due icone del rock italiano come Giorgio Canali (CCCP e CSI) e Manuel Agnelli (Afterhours), i Verdena decidono da Il suicidio dei samurai (2004), di ristrutturare il vecchio pollaio di Albino (cittadina di origine dei fratelli Ferrari) e trasformarlo in uno studio di registrazione e mixaggio chiamato Henhouse, ancora oggi quartier generale in cui la band trascorre intense sessioni di prove e registrazioni senza l’ausilio di alcun collaboratore. 
Seppur coadiuvato dai suoi compagni di viaggio, Alberto è indubbiamente il cervello del gruppo, ricercatore quasi maniacale della perfezione dei testi (bersaglio preferito della critica) e delle musiche, sempre sapientemente stratificate nei suoni e anticonvenzionali per antonomasia. 
Questa mole di lavoro incessante dovuta alla costruzione del suono e della pulizia tecnica, ma soprattutto le difficoltà pratiche dell’autoproduzione vengono raccontate a sprazzi nell’interessante intervista del 2015 per Step Indie, durante la quale torna spesso il sentimento da parte di tutti di trovare un momento di riposo dai tour e soprattutto dalle pesanti registrazioni. 
 
Passano ben sette anni, un’eternità all’interno della discografia odierna, durante i quali i fratelli Ferrari rimangono comunque attivi all’interno di altri progetti musicali mentre la Sommarelli si dedica alla vita privata.
Un primo notevole sussulto si ha ad inizio 2022, con l’uscita a sorpresa di America Latina, una raccolta delle colonne sonore del film omonimo dei visionari fratelli d’Innocenzo. 
Un’operazione di vera e propria contaminazione artistica, con i Verdena impegnati a sviluppare alcuni inediti strumentali del 2010 visionando alcuni stralci di scene dal set e quindi senza conoscere effettivamente la pellicola completa e in contemporanea gli attori del film (tra cui Elio Germano e Maurizio Lastrico) “costretti” ad ascoltare per ore le tracce originali durante le riprese. 
L’annuncio di Volevo Magia arriva come sempre un po’ a sorpresa, seguito dalla copertina e dalla tracklist. 
Il singolo Chaise Lounge presenta immediatamente un’introduzione di chitarra acustica purissima distante dallo stile Verdena, salvo riportarci all’immensa ricchezza timbrica e ai repentini cambi di ritmo che negli hanno reso la band bergamasca unica nel suo genere. 
La tendenza generale è quella di un album che suona indubbiamente meno cupo e più immediato se paragonato ai precedenti Endkadenz vol.1 e vol.2., ma già dal titolo capiamo come il tema sia probabilmente quello di una nostalgia che si dimena tra la rassegnazione di brani come Certi Magazine, Sui Ghiacciai e Tra i rami, ma la quale tenta una reazione nei brani più grunge del disco  
come Pascolare o l’omonima Volevo Magia. 
A pochi giorni dall’annuncio del tour la maggior parte delle date sono già sold out, alcune addirittura prima dell’uscita stessa dell’album, sintomo di una fanbase ancora solida a distanza di circa 20 anni dagli esordi. 
 
L’utilizzo di tanti condizionali in alcuni passaggi è come sempre d’obbligo con i Verdena e in particolare con i testi di Alberto Ferrari, da sempre oggetto di dibattito soprattutto tra coloro che cercano a tutti i costi di interpretare e riportare tutto al confronto con i grandi del passato o in generale con artisti dal background totalmente diverso. 
Ritengo che così come nell’arte figurativa il pittore dipinge una propria rappresentazione della realtà fedele o totalmente distorta, così un testo può essere nitido e diretto o come in questo caso può trasmettere attraverso l’uso di un susseguirsi di immagini, talvolta chiare, talvolta oscure, talvolta sconnesse, un’emozione in chi è predisposto per una serie di ragioni all’ascolto. 
Ferrari dichiara più volte di non saper assolutamente leggere uno spartito, musicalmente è lontano dai miei gusti personali, eppure mi colpisce con la sua arte con più forza di tanta gente con svariati pezzi di carta incorniciati.
La stessa emozione, questa volta mista a invidia, che provo nel vedere i Verdena vivere ancora la propria vita artistica con la fame e la passione del primo giorno, senza dimenticare la spensieratezza tipica del giovane di provincia e contemporaneamente la completa abnegazione per il raggiungimento del proprio ideale di musica, allergici ai compromessi anche con sé stessi, come se questi 23 anni all’interno dell’Henhouse non fossero mai passati.
 
Antonio Montecalvo 

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