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Minoranza riconosciuta nei comuni di Celle di San Vito e Faeto

Dopo la Rivoluzione Francese, i dialetti e le altre lingue parlate nello Stato Pentagonale venivano dispregiate e chiamate “patois”, accezione che designava appunto tutte le lingue diverse dal francese. Così iniziò un vero e proprio meccanismo atto alla soppressione di queste che prendeva il nome di “Vergonha”.

Comparando la Francia con l’Italia potremmo notare quanto al giorno d’oggi sia decisamente più esteso l’utilizzo dei dialetti nell’ultima. Le ragioni sono molteplici, ma le più evidenti sono due: prima di tutto, l’Italia, dal punto di vista unitario ha una storia decisamente più “recente”; in secondo luogo, l’accentramento francese nella città di Parigi è un fenomeno molto distante dalla decentrata realtà della penisola. 

Nel nostro Paese è facile ritrovare e riuscire a conoscere (forse un po’ meno comprendere) la tradizione dialettale tipica e diversa per ogni regione. All’interno delle stesse autonomie locali le accezioni sono molteplici. Prendendo l’esempio della Puglia è noto uno sketch del comico foggiano Pino Campagna, trasmesso in onda nella trasmissione televisiva Zelig, nel quale per spiegare le differenze culturali della lunga regione, utilizzò, proprio come in una lezione scolastica, una “cartina” della stessa, imitando e comparando le cadenze dialettali del tallone d’Italia. 

Continuando ad ingrandire ancor più la mappa virtuale, scavando più a fondo, potremmo scoprire l’esistenza di un ulteriore fenomeno, forse non troppo noto se non agli studiosi delle lingue. Nella provincia di Foggia, al confine con la regione Campania, proprio al confine con i monti dell’Irpinia, ergono due piccole realtà completamente uniche rispetto all’ambiente circostante, le quali giustificano il precedente accenno storico francese. 

Due comuni, precisamente Faeto (Faite) e Celle di San Vito (Celle de Sant Uite), rappresentano una minoranza linguistica riconosciuta nel nostro paese: il francoprovenzale. 

Questa lingua è parlata anche in Valle d’Aosta e in Piemonte, ma in questi due casi la logica di questa presenza è facile da trovare essendo le stesse due regioni di frontiera. Ma come può invece questa minoranza ritrovarsi in due piccoli paesi del sub-Appennino Dauno? 

Di ipotesi ve ne sono varie, ma la più accreditata ci riporta ad un editto Angioino del 1268. Carlo D’Angiò nel citato documento invia 200 soldati francoprovenzali da Lucera al Castello di Crepacorde, in seguito ad un assedio saraceno nella città di Lucera. L’obiettivo di Carlo d’Angiò era la sistemazione di questo castello poiché, trovandosi sulla Traiana, avrebbe garantito gli scambi commerciali e il passaggio degli eserciti. In seguito a delle battaglie le condizioni del castello erano disastrose; fu per questo che vennero chiamate oltre 700 persone dalle zone limitrofe per rimetterlo in sesto; quindi, questo viene riassestato e i 200 soldati francoprovenzali vi si insediano. Siamo alla prima certificazione storica.

Il secondo riferimento risale ad un altro editto Angioino promulgato quattro anni dopo il primo, nel 1272. Il documento conferisce ai soldati francoprovenzali, i quali essendo finita la guerra sarebbero dovuti ritornare in Francia, la libertà di restare lì al castello. 

Il terzo e ultimo documento è datato 1393 e proviene dal Giustiziere di Capitanata, il quale definendo i confini del demanio riconosce il feudo di Crepacorde. Poi nei documenti successivi iniziano a comparire i nomi di Faeto e Celle di San Vito.

Comune di Celle di San Vito

La lingua Franco-provenzale qualifica una serie di parlate che prendono alcune caratteristiche dalla langue d’oc e dalla langue d’oïl, ma contemporaneamente non possono essere riconosciute in nessuno dei due gruppi.

La stessa posizione geografica abbastanza isolata di questi due paesi ha aiutato la preservazione della lingua, la quale differisce anche dalle altre minoranze che la parlano perché in questo caso ha conservato dei tratti più arcaici. 

Purtroppo, i comuni di Celle e Faeto seguono una discesa demografica in picchiata a causa dell’emigrazione, fenomeno comune delle regioni del sud Italia ed ancor di più dei suoi piccoli paesi. Infatti, rispetto al 1950 in cui Faeto contava 5000 abitanti attualmente ne vanta appena 600. Allo stesso modo Celle di San Vito al giorno d’oggi è formato da poco più di 100 persone. 

Tutto ciò potrebbe portare non solo alla scomparsa di due antichi comuni italiani, ma anche di una particolare e unica accezione della lingua francoprovenzale. 

Dal punto di vista strettamente locale è stato attuato negli anni un grandissimo lavoro di sensibilizzazione della popolazione sulla propria specificità e attualmente nei due comuni il francoprovenzale è fonte di orgoglio e costituisce un fondamentale simbolo d’identità.

Personalmente ho scelto questo argomento perché sono per una piccola parte, precisamente per un ottavo, faetana e solo questa provenienza, grazie ai racconti della mia nonna materna, mi ha dato la possibilità di essere a conoscenza di questa peculiare realtà, la quale non è per nulla lontana da noi.

Comune di Faeto

Il comune di Faeto è noto per indire la prima domenica di febbraio e di agosto la “Ffté de lu Cajunne” (festa del prosciutto, non me ne vogliano gli amici vegetariani e vegani); potremmo riprometterci di rendere visita al borgo medievale e diventare così piccoli testimoni di una tradizione culturale unica e in via d’estinzione.

Il dialetto (e, in questo caso, una vera e propria lingua) è uno dei patrimoni culturali più antichi e preziosi che possiamo possedere, ma con tante probabilità, non riusciamo ad assaporarne l’importanza.

Anna Chiara Paolino

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