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È il tre ottobre quando il giudice Francesco Giannone, al termine dell’ultima udienza di giudizio per disastro ambientale contro la Tirreno Power, pronuncia presso il tribunale di Savona le seguenti parole: il fatto non sussiste.

L’aula tace per qualche secondo prima che entrambe le parti sviluppino una reazione.

Al tavolo degli imputati, ventisei sospiri di sollievo.

Sugli sgabelli della parte civile prendevano posto i membri del Ministero della Salute e dell’Ambiente, Accademia Kronos, Codacons, Cittadinanza Attiva, Adoc, Articolo 32, Greenpeace, Medicina democratica, Legambiente, Uniti per la salute, Wwf e Anpana. Tutti hanno ricevuto un calcio nello stomaco, un misto tra rabbia e delusione per l’impossibilità di porgere giustizia alle quattrocento vittime di questa vicenda.

Duemilaquattordici

Tutto ha inizio con le accuse avanzate dall’ex Procuratore della Repubblica, Francantonio Granero, nel febbraio del 2014. Dichiara la Tirreno Power responsabile di 400 decessi e con l’incremento di 2000 ricoveri per problemi cardiaci e respiratori registrati nel periodo dal 2000 al 2012 di pazienti residenti nell’area circostante la sede dell’industria.

Un mese dopo due impianti dei gruppi a carbone ricevono i sigilli a causa del mancato rispetto delle norme di sicurezza, in particolare in seguito alla misurazione delle grandi emissioni di biossido di zolfo e di azoto (dannosi sia per la salute, sia per l’ambiente).

I danni invisibili

Nel corso degli anni sono state raccolte centinaia di testimonianze di figli, parenti e amici delle vittime ma anche di coloro che, a seguito della guarigione, lo possono raccontare in prima persona.

Per questo motivo le persone accusate all’inizio del processo per disastro ambientale e omicidio colposo sono 86.

I numerosi studi e analisi condotti dalla CNR di Pisa dimostrano l’aumento del tasso di mortalità per cause inquinanti del 40% nel territorio circostante l’industria. Ma conteggiando anche le morti causate da malattie respiratorie il tasso di mortalità sale vertiginosamente al +60%.

Questi numeri passano nelle mani di più ricercatori che analizzando anche l’ambiente, notando dei considerevoli cambiamenti e adattamenti dovute a tali emissioni (es. mutamenti sui licheni).

Vengono svolti controlli di sicurezza in tutte le industrie nel savonese per determinare quanti siano i responsabili in questa vicenda ma la lista dei responsabili rimane invariata.

SENTENZA FINALE         

Ma come già scritto la giustizia non è stata dalla parte delle vittime in questa vicenda.

Il Direttore degli affari legali di Tirreno Power, Giuseppe Piscitelli, ripete nuovamente che l’impianto a carbone non è responsabile di alcun decesso e conferma il rispetto delle norme nei limiti. Il suo rammarico è nei confronti dei lavoratori che ne hanno subito il danno economico, costretti a lasciare il loro impiego.

Sono molti i processi che hanno un esito differente da quello che la parte lesa si immaginava di meritare. Le famiglie spezzate sono più di quattrocento e nessuna di queste puntava il dito per far dormire in una cella i responsabili, ma necessitano di ricevere giustizia per dare un nome alla loro nuova condizione di vita, che sia una mancanza in famiglia o una limitazione fisica dovuta alla patologia maturata.

Qualsiasi savonese passasse sulla strada che sfiorava lo stabilimento della Tirreno Power prima del 2014 tratteneva per un attimo il respiro. L’aria era spessa e irrespirabile. Le aree circostanti erano diventate grigie.

Forse era diventato innegabile che quella, come moltissime altre imprese nella provincia, stessero producendo risorse per disintegrarne altre.

Elena Zullo

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