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Istruzioni d’uso su come gli studenti vorrebbero sentirsi davvero dei veri super-eroi

Illustrazione di Ilaria Longobardi (@dallamiap.arte)

“L’università non è una gara”

Se si potesse scegliere cosa leggere sul manifesto degli studi e sui regolamenti universitari molto probabilmente si apprezzerebbe la frase “l’università non è una gara”, anche se il più delle volte ci hanno fatto credere non essere così. L’Università che non esclude, che non lascia indietro chi non batte ogni record: è questo il modello universitario che chiedono gli studenti che non vogliono essere educati al successo e all’eccellenza, parole che rischiano di diventare tossiche, ma che chiedono il rispetto dei singoli e soprattutto della persona.

Perché l’eccellenza a tutti i costi è una narrazione tossica

Lauree in anticipo, donne e uomini in carriera, viaggi per il mondo e corpi da urlo: ecco come la società traduce in poche battute la chiave della felicità, facendo sentire in colpa chi non ottiene gli stessi risultati oppure normalizzando uno stile di vita che non è esattamente conforme alla realtà. Alzi la mano chi non conosce-oppure non è (o lo è stato) – uno studente medio, magari anche fuorisede, che per studiare e vivere lontano da casa, deve lavorare per pagarsi le bollette.

C’è una pericolosa narrazione che vuole l’uomo moderno battere ogni record, dove la parola chiave è “eccellenza” ed investire tutte le energie su sé stesso e soprattutto nella realizzazione di sé, è il vero motore di tutto. È una narrazione che si insinua pericolosamente in numerosi ambiti della vita, da quello lavorativo a quello personale, ma che ultimamente ritroviamo sempre più spesso nel racconto di studenti che “battono ogni record” e “superano tutti”. Senza condanne o scuse da chiacchiere da bar, questo nulla toglie al talento di quelle persone che ce l’hanno fatta meritandosi anche un posto in prima pagina, ma sicuramente aggiunge qualcosa a tutte le altre storie “senza record”, che il più delle volte spariscono nel “baratro” della “mediocrità”.

L’eccessivo aumento delle prestazioni porta all’infarto dell’anima”.
Ed ecco come a forza di vivere e lavorare incessantemente in competizione con qualsiasi altro essere umano, gareggiando in primis con noi stessi, la nostra “anima” – intesa qui come senso primordiale di ogni cosa- smette di ricevere nutrimento e muore. Sconsideratezza o auto sabotaggio? Perché l’essere umano, nonostante abbia la piena razionalità -percependo egli stesso i propri limiti-il più delle volte diventa il proprio nemico, nella ricerca ossessionata, del loro superamento ad ogni costo?

È quella che Handke nel suo saggio “Saggio sulla stanchezza” chiama stanchezza che divide.

“L’insoddisfazione è il primo passo nel progresso dell’uomo” (o perlomeno così diceva O. Wilde)

Normalmente, l’insoddisfazione è un segnale che indica che qualcosa non va, che si stanno seguendo direzioni errate e che il vestito che abbiamo indosso, adesso comincia ad andarci un po’ stretto. In ogni caso, in un certo senso, ci avverte che dobbiamo cambiare qualcosa, mostrandoci come da questo punto di vista, l’insoddisfazione non è negativa, anzi, ci spinge a trasformare le nostre risorse per reindirizzare in senso costruttivo i nostri passi.

Tuttavia, quando l’insoddisfazione assume le caratteristiche di cronicità, diventa disfunzionale e negativa per il benessere; succede quando ci immerge in uno stato di dispiacere permanente e ci impedisce di mettere a fuoco e vivere pienamente il presente, non sentendoci soddisfatti di ciò che siamo e non accettando pienamente la nostra identità: in una società che ci ha insegnato che “chi si ferma è perduto”, a forza di correre per recuperare quel “tempo che fugge”, quelli ad esserci persi, alla fine, siamo stati noi. Se provassimo a leggere le principali caratteristiche dell’insoddisfazione cronica in una prospettiva completa, queste potrebbero rivelarsi il sintomo di quadri di personalità patologici (spesso di tipo narcisistico) o di sindromi ansiose e/o depressive: frustrazione, tendenza al perfezionismo, ipersensibilità al fallimento ed eccesso di autocritica.

Est modus in rebus”, che significa: “esiste misura in tutte le cose”.

Qui torniamo indietro: non lo diceva Oscar Wilde, ma Orazio. L’essere umano è di natura indefinita. Nello stesso modo in cui lo scalpello non può nella sua singolarità creare il capolavoro senza lo sforzo dello scultore, anche l’amorfa umanità deve necessariamente essere portata alla sua completezza dalla caparbietà che anima l’uomo: questa forza di volontà, però, è generata dai sogni, dalle aspirazioni e dalla tempra che, in diversa proporzione, risiedono nell’individuo e che gli permettono di agire. Difatti, se è fisicamente impensabile dire che l’energia, il movimento, sia causato da un principio che si autoalimenti, è indubbio dire che l’eterna insoddisfazione umana sia alla base del successo evolutivo e che quindi le debba venire riconosciuto merito, ma al tempo stesso, bisogna, avere misura nelle cose e porre dei limiti quando si sente il bisogno, costruendo il proprio percorso seguendo le componenti del proprio carattere e le proprie esigenze di vita. Così come bisogna ammirare chi si pone quell’obiettivo e non sposta da lì lo sguardo, tuttalpiù, bisogna ammirare anche chi si prende del tempo e dello spazio per affacciarsi a mondi diversi.

(OrazioSatire (I, 1, 106-107))

Mantra quotidiano: quello che bisogna sempre ricordare

Lo studio non è una competizione, non serve per dare soddisfazione alle persone che ci circondano, e non è una affannosa corsa ad ostacoli verso il lavoro. Non è una prestazione perfetta, una gara infinita ed una vittoria ad ogni costo: in un mondo fatto di stereotipi in cui ci ingabbiamo spesso e volentieri, paragonarsi continuamente agli altri ci fa perdere carica e sicurezza in noi stessi. Non è bravo solo chi si laurea in tempo record, lo è anche chi studia con passione, chi ama ma soprattutto comprende ciò che fa. Amate i vostri tempi, amate il vostro percorso e non vergognatevene: il vero fallimento non è arrivare tardi alla fine di una strada, ma tradire sé stessi non apprezzando quello che stiamo facendo, mentre si cammina.


Elisabetta Costa

2 Responses

  1. Complimenti, molto bello questo articolo. Fallisce chi non crede in se stesso, chi non alimenta i propri obiettivi, chi non combatte per i suoi sentimenti, chi non osa cingere i suoi sogni.

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