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Avverto i lettori che questo breve articolo è un ritratto, solo abbozzato, di un album che per i più sensibili potrà risultare un pugno in pieno stomaco e che anche per me, che lo apprezzo da anni, continua a rappresentare una cascata di emozioni ad ogni ascolto.

Autoprodotto e distribuito in maniera indipendente nel 2009, Hospice è un concept album che stilisticamente rappresenta il vero inizio del percorso di crescita della band “The Antlers” capitanata da Peter Silberman, cantautore e musicista, dotato a mio avviso di una vocalità e di uno stile di scrittura molto interessanti, il quale in seguito all’album “Familiars” ha intrapreso una lunga terapia riabilitativa per curare la totale sordità da un orecchio e l’ipersensibilità dell’altro che lo hanno tenuto lontano dai palchi circa tre anni, salvo tornare come solista con l’EP “Impermanence”.

Hospice racconta in queste dieci tracce il rapporto travagliato tra un infermiere e una malata terminale del reparto di oncologia, fornendoci immagini angoscianti e disperate dei momenti vissuti insieme, espresse da un pop dalle atmosfere oniriche e dalle melodie quasi infantili, una batteria e una tromba che risuonano lontanissime, intervallate o sovrapposte a chitarre distorte e suoni elettronici che richiamano l’ambiente e le attrezzature ospedaliere oltre alle immagini costruite in una narrazione che mischia sogno, incubo e crudele realtà.

Il motore del disco sono indubbiamente i testi di Peter Silberman che danno voce alla sofferenza vissuta dalla paziente, ma soprattutto alle emozioni descritte in prima persona dall’infermiere, con un linguaggio diretto e crudo che oscilla tra pochi momenti di lucidità descrittiva finendo al totale abbandono alle sofferenze del passato e del presente.

Il percorso inizia con un prologo strumentale che ci immerge nell’atmosfera che vivremo per il resto dell’album e in seguito il singolo “Kettering” ci racconta del primo incontro tra paziente e infermiere.
I brani successivi inquadrano meglio la vicenda alternando flashback dal passato della ragazza, che scopriamo chiamarsi Sylvia, e scene recenti del rapporto travagliato tra i due protagonisti: la paziente allettata che ha perso completamente la voglia di vivere e attende l’inevitabile alternando lunghi silenzi, dolore e violenti sfoghi contro il personale medico, e l’infermiere, che prova in ogni modo ad alleviare quella sofferenza e instaurare un dialogo con Sylvia.
Proprio mentre il protagonista è sempre più coinvolto emotivamente dalla vita di Sylvia, tanto da descriverne alcuni ricordi, forse raccontati dalla paziente in un momento di lucidità, con la traccia “Shiva” arriva il più triste degli epiloghi: i macchinari della stanza d’ospedale si spengono, i battiti del cuore si fermano e in quel momento i “The Antlers” ci regalano uno dei momenti più toccanti dell’album nell’immagine dell’infermiere che si vede proiettato su quel letto al posto della sua paziente nel tentativo di sostituirla nella morte e in realtà non riuscendo egli stesso a ritornare alla vita prima di quell’incontro.
La traccia finale “Epilogue” abbandona ogni richiamo ai suoni ascoltati nel resto del disco, l’atmosfera surreale costruita fin dalla prima nota viene sostituita dagli accordi di una semplice chitarra e ci porta nel vero letto dell’ormai ex infermiere, forse mandato via dall’ospedale per non essersi mai ripreso dalla vicenda, ma che nei sogni rivede ancora la sua paziente Sylvia.

 
“You’re screaming, and cursing,
and angry, and hurting me,
and then smiling, and crying,
apologizing”


Ho deciso volutamente di non approfondire troppo questo mio testo che non considero una vera recensione quanto più un semplice consiglio, dal momento che ritengo che un concept album così elaborato e dai temi così delicati debba essere semplicemente ascoltato in un’unica sessione e vissuto senza pregiudizi, prendendosi una pausa dai muri che costruiamo per timore di affrontare i pensieri che albergano in ognuno di noi.
Quella di Hospice è una discesa nel dolore umano più vero e profondo, come sale su una ferita che probabilmente non si rimarginerà mai del tutto, ma è anche un tentativo di rinascita dopo la perdita di una persona cara.

Antonio Montecalvo

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