Da Epicuro a Schopenhauer, da Thomas Jefferson ad Eugenio Montale, la ricerca bramosa della felicità è sempre stata alla base della nostra società.
Se sotto il profilo biologico, quando siamo felici, nel nostro corpo entrano in circolo una serie di ormoni come la serotonina e la dopamina che ci fanno sentire bene e ci gratificano (e da qui il desiderio di essere felici ancora e ancora), allo stesso tempo come diceva Schopenhauer proprio quando c’è il desiderio, non può esserci più la felicità. Si tratta quindi di un’emozione fugace.
Chi ricorda la poesia di Montale, “Felicità raggiunta”? Non appena raggiunto, a fatica, questo stato di appagamento e di gioia ci sfugge come un palloncino dalle mani di un bambino.
LA FELICITA’ COME STATO DI DIRITTO
Sorprendentemente, la felicità è stata oggetto anche di diritto. Nelle Costituzioni Moderne, fra tutte spicca “La dichiarazione D’indipendenza degli Stati Uniti” redatta da Thomas Jefferson nel 1776, nella quale egli parla del diritto alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità.
Da ciò si evince la propensione innata dell’essere umano ad inseguirla. Il punto focale, tuttavia, è che essa non ci è dovuta e ognuno di noi deve conquistarla… Ma come?
E soprattutto cos’è la Felicità?
Darne una definizione risulta piuttosto difficile. Il dizionario italiano la descrive come: “una condizione di gioia e di soddisfazione”, lasciandone di fatti un’ampia interpretazione. Una delle sue principali caratteristiche sta proprio nella soggettività, poiché ognuno la può intendere come desidera.
Vi siete mai chiesti da cosa deriva la vostra felicità? Immaginiamo di stilare una lista di quello che desideriamo, quando l’avremo realizzato allora saremo felici? No. Si tratta del principio dell’adattamento edonistico il meccanismo per cui una volta verificatosi l’evento tanto atteso, dopo un breve periodo di euforia, il nostro livello di felicità tornerà rapidamente al livello precedente facendoci sentire comunque insoddisfatti.
Tutti abbiamo diritto a perseguire la felicità, ma non saremmo più felici se lasciassimo perdere?
Credetemi, anche se così non sembra, la felicità è una cosa semplice. La felicità non si trova negli oggetti, nelle persone, nel mondo idealizzato delle fiabe e mental coach, ma nel mondo interiore di ciascuno di noi. L’unica fatica che dovremmo sforzarci a fare è riconoscere quella che fa al caso nostro. Come? Soffermandoci su quello che ci sta intorno. La felicità autentica è il frutto di una pratica attenta, intenzionale e quotidiana, che inizia con un semplice gesto: sceglierla.
Siamo programmati a ciò che conosciamo, quindi se crediamo di essere alla ricerca della felicità, in verità ci limitiamo a replicare cose che già conosciamo. Il più delle volte ci soffermiamo a credere che la felicità non sia un modo di essere ma che si ottenga dopo aver raggiunto determinati obiettivi, quando in realtà ciò accade perché utilizziamo un parametro imposto dalla società. Gli esseri umani pensano di essere alla ricerca costante della felicità perché in realtà non ammettono che desiderano avere sempre conforto e familiarità.
La felicità è fatta di cose piccole, ma preziose.
La felicità non è quella che affannosamente si insegue, credendo che per essere felici bisogna essere uomini e donne di successo e non è quella delle emozioni forti che esplodono fuori come tuoni spettacolari. Crescendo impari che la felicità sta nelle cose piccole ma preziose. Crescendo impari che il profumo del caffè al mattino è un piccolo rituale di felicità, che bastano le note di una canzone, le sensazioni di un libro. Impari che bastano gli aromi di una cucina, la poesia, che basta il muso del tuo gatto o del tuo cane.
Impari che la felicità è fatta di emozioni in punta di piedi e basta chiudere gli occhi ed accendere i sensi per annullare il tempo e le distanze. Comprendi che sentire una voce al telefono, ricevere un messaggio inaspettato, sono piccoli, ma intensi attimi di felicità.
Le grandi cose sono la somma di tante piccole cose. Allo stesso modo, le grandi vite sono la somma di tanti momenti che spesso passano sotto il naso senza neanche accorgersene: la verità è che siamo così occupati a pensare al romanzo della nostra esistenza nel suo insieme che ci dimentichiamo di vivere un paragrafo alla volta.
Per ottenere la felicità, bisogna anche accettare che non esista solo questa come emozione
Per quanto possa sembrare assurdo, la felicità non è una semplice ondata di emozioni positive, non deriva solo dal fatto che le cose sono andate come volevamo. Perlomeno, non sul lungo periodo.
Siamo tutti spaventati all’idea di perdere le cose che amiamo e il più delle volte crediamo che non provare emozioni ci metta al riparo della sofferenza. Eppure, è proprio la possibilità di perdere ciò che abbiamo a renderlo così sacro. Quello che conta non è soffrire, ma per cosa decidiamo di soffrire. La soluzione alla maggior parte dei nostri problemi è cambiare prospettiva.
Frase fatta? Supponiamo che uno dei nostri problemi è quello di farci influenzare dall’opinione altrui: come fare per risolverlo? Semplice, prendendo coscienza del concetto che gli altri proiettano su di noi l’opinione che hanno di loro stessi. Tutto ha una sua funzione, anche l’ansia, la tristezza e la malinconia: se non si vedesse diversamente, continueremmo a pensare che solo quando proviamo sensazioni positive possiamo permetterci di fare qualsiasi cosa (il punto è che poi ci si stupisce se ci si sente bloccati!). Tutto nasce dalla dualità ed esiste grazie a essa: la capacità di provare gioia dev’essere controbilanciata dalla capacità di provare dolore.
E quindi? Smetti di “inseguire” la felicità e cercala in TE.
Il filosofo Alan Watts ci ha insegnato che il desiderio di sicurezza e la sensazione di insicurezza sono due facce della stessa medaglia: “trattenere il respiro significa rimanere senza fiato”.
Massime di saggezza a parte, sono in realtà la perfetta spiegazione dell’insensatezza che si cela dietro alla famosa “ricerca della felicità”. Il desiderio di vivere per sempre felici e contenti è il vero motivo del consumismo poiché più grande consolazione al pensiero della nostra mortalità. Desideriamo ad ogni costo che tutti gli episodi che hanno composto la nostra esistenza vadano a comporre una perfetta coreografia, cosicché i posteri potranno pensare alla nostra storia come la trama di Harry Potter.
Questo, però, in realtà interessa solo a noi: dobbiamo smettere di vivere pensando a come ci ricorderanno gli altri. Dobbiamo smettere di scrivere la nostra vita come se fosse un best seller che deve piacere a tutti e capire che così facendo defraudiamo la vera veste della felicità: quella personale. Poiché la nostra quota fissa di felicità è legata a fattori genetici, e agire sulle circostanze esterne è estremamente dispendioso e poco utile dal punto di vista dell’impatto, se vogliamo essere veramente felici in modo stabile dobbiamo agire sui fattori su cui abbiamo maggior controllo: i nostri atteggiamenti.
Secondo Selingman, l’unico modo per trovare una felicità vera e duratura è quello di individuare i nostri punti di forza, le nostre abilità e far leva su di esse per raggiungerla.
Essere felici, dunque, dipende in buona parte da noi. Non aspettiamo di raggiungere tutti gli obiettivi per essere felici, possiamo averla ogni giorno, preoccupandoci di realizzare ciò che può renderci felici in questo momento. Coltiviamo l’ottimismo: la felicità è legata ad una visione ottimistica delle cose che ci accadono.
Ma come possiamo imparare ad essere ottimisti? Certo non è possibile scegliere ciò che sentiamo, ma possiamo scegliere il modo in cui pensiamo.
“La felicità non si trova, si crea. La felicità non dipende da ciò che ci manca, ma dal modo in cui ci serviamo di ciò che possediamo.”
(Arnaud Desjardins).
Elisabetta Costa
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Esiste una sola certezza, la felicità è un’emozione.
La felicità è una delle sei emozioni principali, insieme alla paura, rabbia, tristezza, disgusto e sorpresa. Nel 1984 gli psicologi Fehr e Russel scrissero: tutti sanno cos’è un’emozione, fino a che non si chiede loro di definirla. Troppe volte mi sono chiesto, concretamente cos’è la felicità?
Il problema è proprio questo, si cerca la felicità nelle cose materiali, come se dovesse essere ammirata, toccata, esposta. Ebbene, no! La felicità presuppone una serie di elementi fondamentali, ed ognuno costruisce la propria. Molti confondono l’ebbrezza di un momento, di un periodo, con la felicità. Spesso ci si affida alle droghe che scatenano forti sensazioni, momenti brevi ed intensi che servono per anestetizzare il dolore, le cicatrici, le ferite, le frustrazioni, che collocano dentro di noi. Le sensazioni non rappresentano la felicità! Provo a spiegare il mio concetto di felicità.
Felicità significa amarmi, essere me stesso, volermi bene, credere nei miei valori, riconoscere i miei sentimenti, le debolezze, le fragilità, soddisfare le mie esigenze, essere autentico, vero, ambire ad un progetto e realizzarlo, parlare di me a me stesso.
Ed ecco che, oggi guardo negli occhi dei miei figli e senza vergogna, racconto loro di aver sofferto la dipendenza da eroina, essere stato innamorato, essere rimasto deluso, aver deluso, aver gioito, aver pianto quasi mai, essere timido, aver realizzato vari progetti, oltre il lavoro che mi sono creato 27 anni fa. Ed ecco che, a 52 anni, dopo un anno di corso, da pochi mesi, ho conseguito la qualifica di operatore sociale e pur mantenendo inalterato il mio lavoro di libero professionista, collaboro in una struttura di recupero dalle dipendenze.
Aiutare chi soffre, coloro che stanno soffrendo come ho sofferto io, mi riempie l’anima.
Ed ecco che, la felicità, è la telefonata di due genitori la notte di capodanno che, piangendo, mi ringraziavano perché il figlio non usava sostanze da due mesi. . Il loro pianto era la condivisione della loro luce. La felicità è una ragazza appena ventenne che, quando arrivo al centro, corre piangendo per abbracciarmi, per ringraziarmi, perché sono poche settimane che non fa uso di sostanze. Ed ecco che, la felicità, è urlare al mondo intero chi ero, chi sono, chi voglio essere. Raccontare la verità all’amico più fidato di sempre, lo specchio, quello che non tradisce mai. Se lo specchio di casa parlasse, racconterebbe la verità, difficile non essere autentico davanti ad esso. Lui non parla, non tradisce, custodisce i segreti, le cose mai dette, la pudicizia, le difficoltà mai superate, le paranoie. Ed ecco che, ogni giorno, provo ad essere me stesso, con i figli, con il mondo che mi circonda. Racconto ai miei figli che, essere autentico, si paga un prezzo alto, ed io ho pagato e pago ancora a caro prezzo il peso dello stigma. Dico a loro di non deludersi, di non aver paura, perché gli stigmatizzanti sputano la loro rabbia, urlano per individuare il colpevole dei loro fallimenti. Ed ecco che, a 52 anni, ho scritto un libro: dialoghi allo specchio (titolo del libro), racconta di essere “veri”, l’unica strada percorribile per essere felici, perché la vita non è un’opera teatrale. Essa prevede un palcoscenico, un sipario, gli attori e attrici che “recitano”, gli spettatori paganti che, alla fine della recita, hanno il diritto di applaudire o fischiare. Ed ecco che, oggi racconto allo specchio:
“Odorai la morte e fui nauseato
Odorai la vita e fui estasiato
Odorai me e fui incantato.”
Raffaele Sposito