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Illustrazione di Ilaria Longobardi (@dallamiap.arte)

Il 31 marzo ha segnato una data storica: dopo due anni di pandemia, siamo usciti finalmente dallo stato d’emergenza. Eppure molti di noi non sono stati indenni dalle conseguenze della reclusura.

Per la prima volta nella nostra vita siamo stati forzati a trascorrere la maggior parte del nostro tempo nelle nostre case e a riconsiderare più che mai i nostri spazi. La privacy è diventata quindi sempre più sottile, non solo tra familiari ma anche tra amici ed istituzioni, che vengono vissuti in un preciso tempo e spazio nei quali strutturare la propria routine, totalmente ribaltata e che ha richiesto una buona dose di flessibilità. Il mondo digitale, come finestra sul mondo, ci ha costretto quindi a delineare i nostri confini che, nell’era pandemica, erano sempre più confusi: usare uno smartphone, infatti, non era più sintomo di divertimento ma anche di riunioni lavorative e consegne da inviare sull’email.

Le relazioni amicali e sentimentali però, per essere coltivate genuinamente, hanno bisogno di contatto fisico col quale rafforzare il legame. Se pensiamo all’esperimento di Harlow infatti, l’attaccamento emotivo nasceva quando al cucciolo di scimmia veniva offerto il nutrimento da una mamma manichino soffice da poter essere abbracciato e da cui essere confortato rispetto a un manichino che forniva soltanto nutrimento. Le emoticon e le videochiamate di gruppo non potranno mai sostituire il calore umano e le innumerevoli relazioni terminate hanno potenziato un senso di isolamento e di abbandono che, a loro volta, hanno indebolito il sistema immunitario così prezioso per proteggerci dal covid-19.

La tecnologia inoltre ha prodotto ulteriori danni: osservare sui social network gli utenti destreggiarsi sulle loro abilità culinarie ed artistiche durante il periodo del lockdown, ha aumentato il nostro senso di impotenza, minato la propria autostima e generato un senso di disagio a dispetto del mito della produttività e della resilienza che premia solo coloro che c’è l’hanno fatta, stigmatizzando un dolore legittimo.  

Il mito della produttività era quindi sempre più accompagnato da una positività tossica, spettacolarizzata dal blando slogan “Andrà tutto bene”, che sembrava traslare il motto “Keep calm and carry on”, un poster di propaganda britannica. La positività, inneggiata attraverso frasi e post motivazionali, facevano sentire l’individuo sbagliato perché tutto sembrava ricadere su di sé e le proprie scelte con l’obiettivo ultimo di raggiungere il benessere a tutti i costi, che non faceva altro che reprimere i reali sentimenti e provocare frustrazione.

Intanto l’Italia sembrava aver riacquisito un valore patriottico, discrepatosi successivamente tra i dibattiti favorevoli e contrari al vaccino e all’uso della tessera verde, svelando tutte le criticità di quel patriottismo che pensavamo ci appartenesse. Il bisogno di vicinanza al prossimo però non ha mai smesso di esserci ed ha incrementato un fenomeno sempre più diffuso online, il ghosting: gli utenti, terminato il periodo di reclusura, sono spariti, e le buone intenzioni di rivedersi un giorno si sono tramutate in illusione. Questo ha comportato la sensazione di sentirsi usati come fonte di intrattenimento e di consolazione, dubitando del proprio valore e della capacità di conferire fiducia al prossimo. Nonostante tutto, secondo ricerche effettuate dalla professoressa di psicologia clinica Boursier dell’università Federico II, le relazioni virtuali, che preferisce chiamare relazioni vere e proprie in quanto hanno un impatto nella nostra vita reale, sono state un fattore di protezione durate il primo lockdown e la visione di serie tv sono un fattore di arricchimento, in quanto incrementano il nostro capitale umano permettendoci un senso di appartenenza con gli altri che visionano gli stessi contenuti.

Riprendere attualmente la vita sociale sta incontrando però ora un ulteriore ostacolo: la fobia sociale, un disturbo d’ansia che viene indotto dall’esposizioni in pubblico e in relazioni interpersonali e che riguardano conoscere nuove persone, evitare situazioni sociali come ricorrere al bagno pubblico o mangiare insieme ad altri. Fra le possibili cause, vi è l’ipotesi di esserci disabituati ad affrontare sfide sociali quotidiane. E’ come se fossimo giustificati nella nostra comfort-zone, a causa del rischio del contagio e dall’altro considerato come pericoloso.

Eppure, il desiderio di evasione era sempre più accentuato e veniva rinnegato attraverso divieti che hanno ridotto la vita a una mera sopravvivenza. L’uomo, al contrario, non è soltanto progettato per assolvere ai suoi bisogni primari ma possiede, come ha dimostrato Maslow al vertice della sua piramide, quello dell’autorealizzazione e di connessione con la spiritualità, che oltre al ricongiungimento con il divino attraverso pratiche religiose e non, la si raggiunge dall’incanto di un quadro, dall’ascolto di una melodia, dalla visione di un film d’eccezione che arricchiscono il proprio panorama umano. Ma le leggi estenuanti, trasmesse a colpi di DPCM, non più poche, chiare e imprescindibili bensì mutabili, molteplici e confuse e che non hanno permesso la possibilità di condurre una vita dedita ai piaceri, alle mostre, ad iniziative culturali e non solo, hanno generato sempre più una follia collettiva, come sostenuto dallo psicoterapeuta Raffaele Fiore.

Quali sono stati invece gli effetti psicologici degli studenti in Didattica a distanza? 

L’uso massiccio di piattaforme quali Zoom, Teams, Google Meet, ha fatto emergere la nostra mancanza di abilità verso le stesse. Siamo stati portati quindi a far fronte ai nostri limiti e in qualche modo costretti ad abituarci ad esse, quale unica modalità per fronteggiare il confinamento.Così, entro il 2026, il 70 % dei cittadini italiani, secondo il Ministero dell’innovazione e della transizione digitale, dovrà colmare tale gap di competenze digitali.                     

Pensiamo che l’utilizzo delle TIC (Tecnologie dell’informazione e della comunicazione) semplifichino le modalità di interazione online ma la mancanza o difficoltà di connessione della rete Wi-Fi, abitazioni di dimensioni piccole e l’inacessibilità alle aule studio hanno comportato una qualità inferiore dello studio. La mancanza di un compagno con cui supportarsi, in vista di una verifica o di un’interrogazione, ha creato un senso di alienazione. Un’alienazione già percepita nel sentirsi matricole con dei numeri alle università ma si è diventati ancora più invisibili tra quei pallini con lettere minuscole su Teams per indicare la nostra identità. L’inacessibilità delle strutture e la mancanza di creazione di un gruppo di studio tra i banchi ha spinto molti neo-studenti ad abbandonare precocemente l’università o a viverla con grande senso del sacrificio. Eppure, la professoressa di psicologia del lavoro Vincenza Capone dell’università Federico II ha dimostrato, nel suo studio, che i 500 studenti della laurea triennale di “Scienze e tecniche psicologiche” che hanno presieduto ad attività a distanza hanno aumentato il loro benessere a fine semestre, perché conseguire degli obiettivi aiuta a riempire di senso la propria esistenza.                                                                                                                               

Dopo questi resoconti, è possibile trarre anche del buono da questa pandemia?

Ebbene, la docente di psicologia della salute Donizzetti, durante il convegno “Al di là del Covid-19” del 28/04/2022 presso l’Università Federico II, ha dimostrato come l’attività fisica sia aumentata durante la pandemia.

Ma lo sport ha protetto dagli effetti della restrizione comportamentale?                      

Esaminando un campione di 60 studenti sportivi e non del corso di laurea di “Scienze e tecniche psicologiche”durante il covid-19, é stata la categoria degli sportivi che ha rilevato maggiori risultati in fluenza verbale, utilizzo di strategie cognitive e riconoscimento e descrizione delle emozioni.                                                                                                                         

La professoressa di psicologia sociale Daniela Caso, nel medesimo seminario, ha invece studiato le scelte alimentari in quarantena. L’impatto dei familiari ha inciso favorevolmente sul consumo alimentare e, nella permanenza a casa, le persone hanno prediletto prodotti sani come frutta e verdura, a differenza del “junk food”, fra cui appartengono fritti e dolciumi, che invece ora vengono consumati di più perché presenti nelle strade della nostra città attraverso il fast-food e a causa dei ritmi frenetici di vita.                

I vissuti di ansia e stress hanno, al contempo, notevolmente diminuito la volontà di consumare i pasti, come se quest’ultimi non scandissero più una pausa per ricaricare le energie e un momento conviviale tra parenti. Ci si sentiva in un loop continuo, in cui il pranzo e la cena erano un appuntamento ansioso, dove l’esposizione mediatica dei bollettini dei morti della protezione civile non hanno aiutato.

Dal punto di vista professionale, tra Aprile e Giugno 2021, 500 mila italiani hanno abbandonato volontariamente il lavoro, soprattutto la fascia giovanile tra i 26-35 anni, per ricercare un nuovo senso della vita. Il lavoro si è sganciato quindi da una connotazione di merce e da uno strumento di pura sopravvivenza perché l’entrare così in contatto con la morte e situazioni al limite hanno spinto a indagarsi profondamente sul proprio progetto di vita. Le motivazioni per lo psicologo Luca Mazzucchelli sarebbero da attribuire al fatto che:“le persone riflettono di più sui bisogni primari tra cui la sicurezza,la salute e il benessere emotivo.Il luogo di lavoro dovrebbe occuparsi di questi aspetti e tenere conto di riempire non solo il conto corrente economico ma anche quello emotivo”.Molti allora hanno deciso di trasformare un momento di crisi in un’opportunità, mettendosi in proprio o esplorando le ricche opportunità del mondo online.

Quali sono le prospettive future post-pandemia?

La reclusura forzata ha portato ad adeguarci alle misure anti-contagio che hanno rivoluzionato le dinamiche relazionali e commerciali. Le alternative di acquistare tramite Amazon e varie piattaforme per il cibo di asporto come “Just Eat” ci ha privato di uno scambio arricchente con i commercianti, i quali si sono visti abbassare le saracinesche dei loro negozi e dei locali. La comodità di avere tutto a portata di click ha aumentato la nostra pigrizia, impazienza ed egoismo, non curanti di turni di lavori logoranti per consegne spedite anche all’una di notte. L’uomo attorno a sé sembra quindi sempre più solo ed alienato, alle porte di un’epoca in cui Mark Zuckerberg, guidato dal vento favorevole della pandemia, ha annunciato nell’Ottobre del 2021 il suo progetto Meta, sostituendo il nome delle celebri piattaforme Instagram e Facebook, con l’obiettivo di radunarci in una stanza virtuale attraverso degli ologrammi.

Carmen Allocca

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