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Nel pieno di due crisi, giunte ad oggi con la crisi pandemica e gli scenari bellici tra l’Ucraina e la Russia, la struttura del lavoro è profondamente cambiata, favorendo la GIG economy, l’economia dei lavoretti, che si caratterizza per paghe sottopagate e contratti senza una scadenza temporale, il cui ruolo centrale viene assunto dalle note piattaforme Airbnb (2008), Taskrabbit (2008), Uber (2009/2010), Homejoy (2010), Urbansitter(2010).

La gig economy ha comportato diverse conseguenze,come ha espresso Riccardo Staglianó nel suo saggio “Lavoretti”:”L’eredità più avvelenata di tale New economy ha a che fare con l’istituzionalizzazione del gratis che ha coinvolto tutti i settori, dagli editori che trasportano notizie online, salvo poi vedersi assottigliarsi i profitti dei giornali cartacei, l’industria cinematografica e musicale, vittima delle piattaforme streaming e download che solo recentemente sta attuando metodi di abbonamento, fino a noi utenti comuni che sotto il motto “Condividete le vostre passioni” consumiamo ciò che altri utenti producono e chi ci guadagna non siamo noi ma la piattaforma”,sebbene le figure dei content creator e degli influencer stiano ricevendo maggiori meriti. Ma come siamo giunti a tutto questo?

Dai trenta gloriosi alla crisi del 2008

A seguito della seconda guerra mondiale, dei fascismi e i totalitarismi, nei cosiddetti “trenta gloriosi” tra il 1945 e il 1973, avvenne un accordo tacito: “il compromesso socialdemocratico”, in cui centrale era il diritto al lavoro nell’articolo 1 con l’obiettivo della piena occupazione e una contrattazione salariale tramite sindacati. La classe operaia iniziava a comprendere l’importanza della solidarietà di classe e il prossimo veniva considerato un compagno alla luce della disuguaglianza sociale, fattore scatenante delle crisi del 1929 e dei totalitarismi.

Una crisi del compromesso social democratico giunse però a causa dei neoliberali perché estranei alla concezione dello stato centrale e del lavoro come diritto. Il lavoro iniziò ad esser considerato una merce in cui le condizioni strutturali non vengono date una volta per sempre e la disoccupazione diventa ideale, in quanto gli imprenditori possono decidere lo stipendio a dispetto di un contratto nazionale.

Alla fine degli anni 70’ con il calo del profitto, (a parità di capitale investito si ottiene un profitto minore), le soluzioni divennero o aumentare la produttività oppure, come quella che fu la soluzione adottata, sostituire gli operai locali con quelli immigrati, dando vita all’outsourcing, ossia l’esternalizzazione dei servizi. Ma è con il 2008 che la disoccupazione impenna, contribuendo alla nascita delle famiglie quadrireddito.

L’escalation del lavoro flessibile in Italia

La legge che ha introdotto il concetto di flessibilità nel mondo del lavoro in Italia  è da attribuire dapprima al governo Dini, che si proponeva di disciplinare la flessibilità lavorativa, contratti a tempo determinato, lavoro interinale e job sharing e in seguito al ministro del lavoro, sotto il governo Prodi ,Tiziano Treu, con il quale si è avuto una prima tappa del processo di profonda rivisitazione e modernizzazione del diritto del lavoro in Italia attraverso il protocollo Treu del 24 Giugno 1997 che istituì il part-time e ridisegnò l’apprendistato.

Il decreto legislativo numero 638 del ministro del lavoro Maurizio Sacconi ha poi liberalizzato i contratti di lavoro a termine, facendo sì che l’indeterminato costituisca l’eccezione.

La legge Biaggi del 2003, oltre ad aver abrogato il lavoro interinale, ha poi introdotto nuove tipologie di contratto indeterminato come quello del lavoro intermittente, contratto a progetto e co.co.pro

La legge Fornero nel 2012 ha poi configurato il contratto a tempo indeterminato come contratto prevalente, disincentivando quello indeterminato. Un ulteriore passo verso le mancanze di tutele è stata l’assenza di spiegazione per i motivi organizzativi che giustifichino la scelta del lavoro indeterminato per il primo anno. Giustificazione che si estenderà a 36 mesi con il ministro del lavoro del governo Renzi Giuliano Polletti.

Flessibilità lavorativa? Maggiore stress e minore produttività

Le nuove forme precarie del contratto di lavoro così come l’irregolarità e flessibilità degli orari, l’insicurezza del posto di lavoro hanno intensificato una condizione di stress, un problema da non sottovalutare. Infatti, secondo la campagna biennale europea “Insieme per la prevenzione e gestione dello stress-lavoro correlato” si è affermato che: “Lo stress sul lavoro è il secondo problema di salute più frequente legato all’attività europea. E’ responsabile della metà dei giorni lavorativi persi, con un costo per l’economia europea di 136 miliardi di euro ogni anno a causa della perdita di produttività, comprese le assenze per malattia”.

Inoltre i bassi stipendi si rileverebbero nocivi non solo per il benessere del dipendente ma per la salute dell’azienda stessa. Investire nella forza lavoro è vero, costerebbe di più nel breve termine ma ripagherebbe nel lungo termine come dimostrò Henry Ford nel Gennaio 1914, il quale, per contrastare i costi causati dal turnover decise di aumentare lo stipendio dei dipendenti dal 2,34 ai 5 dollari al giorno. Questa fu la mossa vincente per fidelizzare i lavoratori e non solo, in quanto aumentarono anche i profitti della Ford Motor nel 1916.

A seguito di questa disamina ho deciso personalmente di indagare le condizioni dei lavoratori vittime della gig-economy, raccogliendo una serie di testimonianze anonime e scegliendo infine quella che ho ritenuto la più rappresentativa:

“Da 9 anni ho lavorato come cameriera, tutor, baby-sitter. Negli ultimi tempi ho fatto l’educatrice dalle 8 alle 17 con una paga di 30 euro al giorno e con la stessa paga faccio da baby-sitter dalle 19 fino alle 1 o 2 di notte per poi alternarmi con ripetizioni in un centro privato in cui ogni ora prendo 8 ora e mezza all’ora. Non sono più una ragazza giovane e non riesco a sopportare il fatto di essere sottopagata. In alcune occasioni mi sento persa, vuota e dopo due lauree sento di avere in mano un pugno di mosche”.

La testimonianza che segue è invece estratta dal saggio “Lavoretti” di Riccardo Staglianò, con cui invece possiamo interfacciarci con un esempio di dipendente Deliveroo da oltreoceano, Billy Shannon, che racconta:

“Ho iniziato a lavorare per contribuire alle spese domestiche. Lavoravo poche ore e mi andava bene, ma quando hanno cambiato le regole mi sono sentito preso in giro. Un mio amico, che ha osato lamentarsi è finito nella lista nera. Ti seguono costantemente dall’app. Verde va bene, arancio devi accelerare, rosso sono guai. Ti controllano passo passo, di autonomo in questo lavoro non c’è proprio niente”.

Vi rimando al link Amazon se interessati ad ulteriori approfondimenti del libro “Lavoretti” di Riccardo Staglianò:

Come si prospetta il mondo del lavoro del domani?

Le piattaforme stanno ridisegnando la fisionomia del lavoro nel XXI secolo e si stanno di conseguenza ridefinendo nuove categorie di lavoratori come i “workers”, a metà strada fra autonomi e dipendenti o quella dei “dependent contractors”, i collaboratori-dipendenti.

In tal senso, le piattaforme digitali e le emergenti startup hanno un ruolo cruciale nella distribuzione della ricchezza mondiale, evadendo le tasse. Basti pensare alla società olandese Uber international C.V., che si impegna di versare con la casa madre una royalty dell’1,45 per cento in cambio dell’uso dell’app ma le royalty in Olanda non sono tassabili o dell’Apple che l’EU ha multato per 13 miliardi per gli accordi irlandesi, per aver usufruito dell’aliquota dell’1 per cento scesa poi allo 0,005 per cento.

Ma a dispetto di modelli non esemplari appare un barlume di speranza se attingiamo a esempi virtuosi come l’azienda “managed by Q” che non solo ha deciso di assumere dipendenti a tempo pieno con il modulo W-2 al posto del modulo 1099 dei contractors ma anche garantire un’assicurazione sanitaria, un piano pensionistico e i congedi parentali che gli hanno consentito di avere 900 dipendenti in cinque città con 1200 clienti in meno di 3 anni. Su questa scia molte altre aziende hanno fatto il salto dal 1099 al W2 tra cui SHYP, LUXE,EDEN.

Eppure la strada da percorrere sembra ancora lunga e noi cittadini in primis abbiamo molto ancora da consapevolizzare perché un ruolo, in tutta questa storia, l’assumiamo anche noi ogni volta che preferiamo comprare da Deliveroo invece di recarci al ristorante o quando scegliamo di viaggiare low cost perché, come aggiunge Riccardo Staglianò “come esseri umani tendiamo a preferire l’uovo oggi, quindi una camera scontata dell’airbnb oppure una corsa Uber, alla gallina domani (di uno stato sociale in salute che possa pagarmi asilo nido, ospedali).”

Carmen Allocca

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