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Nato a Sassari il 25 maggio 1922, Enrico Berlinguer è stato uno delle figure più influenti della c.d. Prima Repubblica. Attivo nell’antifascismo sardo, si iscrive al Partito Comunista Italiano nell’agosto del 1943: inizia allora il suo impegno politico ed è proprio sotto la sua guida che il PCI ottenne i suoi più grandi risultati.

Nel gennaio 1948, all’età di ventisei anni, entra nella direzione del partito e meno di un anno dopo diventa segretario generale della FGCI, la Federazione giovanile comunista.

Certamente il leader che più di tutti ebbe il coraggio di affrontare apertamente il tema del rinnovamento del partito su scala internazionale, contro le strutture del sistema di quel tempo.

illustrazione di Ilaria Longobardi (@dallamiap.arte)

Primi passi verso l’eurocomunismo

Appena giunto al vertice del PCI, Berlinguer avvia un processo di distanziamento dall’Urss, elaborando un modello alternativo noto come eurocomunismo. Si parlò, infatti, della volontà dei partiti comunisti occidentali di abbandonare ogni forma di dogmatismo marxista. Gli eurocomunisti erano totalmente indipendenti, aderenti ai principi della democrazia e non allineati con l’URSS e gli altri Paesi socialisti.

Il 3 ottobre 1973, al termine di un incontro molto teso con Todor Zhivkov, segretario del Partito Comunista bulgaro, l’auto sulla quale si sta dirigendo verso l’aeroporto viene colpita. L’impatto è tremendo: l’autista muore sul colpo e Berlinguer si salva per miracolo. Ancora oggi molti sostengono l’idea di un attentato ben orchestrato.

Il compromesso storico

Di Berlinguer tutti ricordano il coraggio di proporre in Italia il “compromesso storico”, ovvero la tendenza al ravvicinamento tra DC e PCI.

Difatti, nell’autunno del 1973, riflettendo sul colpo di stato in Cile del governo di Unidad Popular di Allende, pubblica tre articoli sulla rivista “Rinascita” ove sottolinea la necessità e l’importanza di un accordo tra forze popolari di ispirazione comunista e socialista da un lato, con quelle di ispirazione cattolico-democratica dall’altro, al fine di dar vita a uno schieramento politico capace di realizzare un programma di profondo risanamento della società.

Tuttavia, tale proposta, fortemente legata alla politica di eurocomunismo, fu vista negativamente dal Partito Socialista Italiano che vedeva in questo disegno un chiaro tentativo di marginalizzazione del PSI e dell’idea di un’alternativa di sinistra che portasse il PCI al governo, ma con la guida dei socialisti.

Trovò invece appoggio nell’area di sinistra della DC che aveva come riferimento il presidente del partito Aldo Moro, ma non lo stesso dall’ala destra della DC, rappresentata da Giulio Andreotti. Lo stesso Andreotti in un’intervista dichiarò: “secondo me, il compromesso storico è il frutto di una profonda confusione ideologica, culturale, programmatica, storica. E, all’atto pratico, risulterebbe la somma di due guai: il clericalismo e il collettivismo comunista.”

Nel gennaio 1978 Berlinguer incontra Aldo Moro, chiedendogli di agevolare l’entrata dei comunisti al governo.

Tuttavia, l’incontro problematico fra PCI e DC spinse l’estrema sinistra a boicottare il PCI e portò i militanti delle Brigate Rosse a rapire, e in seguito a uccidere, Aldo Moro proprio nel giorno del primo dibattito sulla fiducia al nuovo governo Andreotti, il 16 marzo 1978.

È la fine della solidarietà nazionale e del progetto di Berlinguer.

La scomparsa prematura

È il 7 giugno 1984 e le elezioni europee sono alle porte. Nonostante il suo malore improvviso, Berlinguer termina il suo discorso davanti alla folla, fino alla fine.

«Compagni, lavorate tutti, casa per casa, strada per strada, azienda per azienda.»

Rientrato in albergo, entra subito in coma. Ricoverato in ospedale, muore quattro giorni dopo a causa di un’emorragia cerebrale.

I suoi funerali, a piazza S. Giovanni a Roma, sono un immenso corteo commosso, fatto di fedelissimi, di alleati, ma anche di avversari politici e di gente comune, che in lui ha avuto modo di apprezzare il rigore morale e la passione per il suo lavoro.

Commovente fu il saluto di Pertini: il presidente si chinò con la testa sopra la bara, baciandola tra gli applausi dei presenti.

Mai nell’Italia repubblicana si era avuta una manifestazione di tale ampiezza nei confronti di una figura politica. Dal carattere schivo e coraggioso, molti, ancora oggi, ne sentono la mancanza, rimpiangendo il suo volto come quello di un’Italia che forse è finita con lui.

Chiara Vitone

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