Come nasce l’emergenza rifiuti?

Nel consumismo risiede il concetto del “lontano dagli occhi, lontano dal cuore” e quest’atteggiamento accompagna involontariamente ognuno di noi.

L’immediata soddisfazione di bisogni comuni primari comporta, a seguito di nuovi stimoli generati dalla società, la necessità di comprare, comprare e comprare.

Ma quali sono le conseguenze di anni di acquisti sfrenati? Dove vanno gli scarti dei nostri oggetti desiderati?

La risposta corretta è: nella discarica, ma la situazione è più complessa.

Partiamo dallo Stato: come promette di muoversi? Sta cercando la risoluzione al problema?

Dando un’occhiata alle analisi dell’ISPRA (Istituto Superiore Protezione e Ricerca dell’Ambiente) ci si può rendere conto che la situazione potrebbe migliorare ma non risolversi.

La ripresa economica post-pandemia ha incrementato la produzione dei rifiuti urbani in maniera sproporzionata: dal 2020 il Pil è aumentato del 6,7% mentre i rifiuti nelle famiglie sono aumentati del 5,3%.

I rifiuti urbani differenziati rappresentano il 48,1% degli urbani totali, con un miglioramento di un punto rispetto a due anni fa. Durante la Cop27(Conferenza delle Nazioni Unite per i cambiamenti climatici), il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni ha comunicato l’obiettivo di giungere al 55% di rifiuti differenziati  entro il 2025.

Lo Stato sembra leggere positivamente questi ultimi dati (e tanti altri). Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza attraverso il progetto “Rivoluzione verde e transizione ecologica” prevede il finanziamento di 1,5 milioni di euro per la realizzazione di nuovi impianti di gestione dei rifiuti e l’ammodernamento di impianti preesistenti.

Inoltre sono state create iniziative relative agli impianti di trattamento e riciclo dei rifiuti urbani provenienti dalla raccolta differenziata: è previsto un investimento di 40 milioni di euro.

Si punta ad un’economia più green attraverso i Criteri Ambientali Minimi (CAM) che prevedono acquisti verdi per la PA, criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto (End of Waste), sulla responsabilità estesa del produttore dei rifiuti e sul ruolo di consumatore.

La luce o il buio nel tunnel del cambiamento climatico?

Una tra le conseguenze negative del problema è l’eccessivo incremento di CO2 nel nostro ambiente, per questo il PNRR segna sull’agenda del 2030 la sua riduzione del 55% e fissa al 2050 una situazione di neutralità climatica.

La legge di bilancio 2023 prevede l’utilizzo di eco-compattatori per contenere la produzione di rifiuti di plastica garantito dal fondo “Programma sperimentale Mangiaplastica” di 6 milioni di euro prevista per l’anno corrente e 8 milioni di euro per il 2024.

Numerosi divulgatori, tra cui Andrian Fartade, affermano che se l’essere umano cessasse di inquinare oggi, il pianeta non smetterebbe di scaldarsi ancora per molto tempo. Le conseguenze del cambiamento climatico sarebbero visibili fra trecento anni. Questo confermerebbe la situazione di non ritorno.

La risoluzione utopica del problema avrebbe come conseguenze la cessazione delle attività economica, lo stop delle attività criminali per la gestione dei rifiuti e il corretto smaltimento dei rifiuti in accordo con i paesi aderenti al COP27.

La gestione dell’emergenza e le infiltrazioni mafiose

La burocrazia macchinosa rende complessa la materia dello smaltimento dei rifiuti in Italia. Non esistono ancora Enti interni allo Stato che possano amministrare il settore dei rifiuti.
Per questo la PA indice gare d’appalto – per la depurazione, la gestione e la messa in sicurezza dei carichi – ove il criterio che permette all’impresa di vincere è il prezzo del servizio emesso con una percentuale di ribasso che non permette la competizione con altre società.

Ed è così che le ecomafie s’infiltrano producendo mari di guadagni.
I reati avvengono durante la fase del trasporto e dello smaltimento dei rifiuti.
Alla base il produttore si occupa di dichiarare la falsa quantità o tipologia di rifiuti da smaltire.


Durante il trasporto è possibile dirottare la meta del carico o farlo sparire.
Questo succede lungo le cosiddette “rotta adriatica” e “rotta tirrenica” che trasferiscono dal nord i carichi verso la Puglia, Campania o Calabria. Ma l’Italia permette il passaggio di traffici internazionali di rifiuti che provengono dall’intera Europa con destinazioni come Paesi come la Somalia, la Romania, la Nigeria ed il Mozambico.

La seconda possibilità, relativa allo smaltimento, comporta il sotterramento in cave abusive e/o in capannoni o edifici abbandonati.

Durante le operazioni di smaltimento è possibile il verificarsi di truffe come la bancarotta fraudolenta o finte trasformazioni.

Quale sarà il NOSTRO futuro?

Per renderci conto del concreto danno ambientale in cui viviamo e della conseguente emergenza è necessario fermarsi su questo dato: nel 1999 in Italia sono stati prodotti 72 milioni di tonnellate di rifiuti, di questi, 11.2 milioni di tonnellate sono stati dispersi illegalmente nel nostro ambiente.
Questi dati non intervengono in modo rilevante nei numeri che studiano lo sviluppo dell’emergenza dei rifiuti stilata dall’Ispra.

Perciò l’emergenza rifiuti è un problema più complesso di quel che pensiamo, sono molti i fattori che lo compongono. Non basteranno cinquant’anni per rendere il nostro Paese un posto sicuro.
I danni da risolvere riguardano gli anni di mancato interesse verso l’amministrazione dei rifiuti, la leggerezza della gestione delle gare di appalto che ha permesso l’inclusione nel settore di un tarlo persistente, la diversa conduzione da parte di Paesi limitrofi che non collaborano con le stesse linee guida e la lentezza con cui si è inserito in Italia il sistema di raccolta differenziata.

Elena Zullo

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