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DDL Calderoli. C’è il sì del Consiglio dei Ministri.

Il Consiglio dei ministri, giovedì 2 febbraio, ha approvato il ddl sull’autonomia regionale differenziata, presentato e messo a punto dal ministro per gli affari regionali Roberto Calderoli. “E’ un giorno storico” afferma l’esponente della Lega.  

In passato, ci avevano provato già Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna attraverso singoli accordi con il Governo. Ma l’approvazione di una legge sull’autonomia differenziata, nelle intenzioni dei promotori, serve a semplificare e uniformare i passaggi per tutte le Regioni.

Un provvedimento che dimostra, ancora una volta, che questo Governo mantiene gli impegni presi” scrive, subito dopo il varo, la premier Giorgia Meloni sulla sua pagina social.

Secondo le opposizioni, una riforma destinata a “spaccare il Paese”.

Cos’è l’autonomia differenziata

L’idea di fondo della proposta è che le Regioni a statuto ordinario ottengano il riconoscimento, da parte dello Stato, di autonomia legislativa sulle materie di competenza concorrente ed esclusiva. Tra queste spiccano l’istruzione, la valorizzazione dei beni culturali e ambientali, le reti di trasporti, il commercio con l’estero, i rapporti internazionali e con l’Unione europea. Insieme alle competenze, le regioni possono anche trattenere il gettito fiscale, che non sarebbe più distribuito su base nazionale a seconda delle necessità collettive.

Pertanto, il disegno di legge, in dieci articoli, mira a semplificare le procedure, accelerare e sburocratizzare i procedimenti, per una distribuzione delle competenze che meglio si conformi ai principi di sussidiarietà e differenziazione.

Tuttavia, il conferimento alle regioni a statuto ordinario di “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” è previsto dal terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione “con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119”.

Questo comma però non è mai stato attuato, a causa delle grandi differenze economiche e sociali tra regioni che rendono particolarmente delicata e dannosa l’approvazione di leggi in questo senso.

La definizione dei Lep e come funzionano con il ddl Calderoli

Un passaggio decisivo per l’approvazione di una legge sull’autonomia differenziata riguarda i livelli essenziali di prestazione (Lep), uno dei punti sicuramente più contestati.

Si tratta di soglie minime di servizi che vanno garantite a tutti i cittadini sul territorio nazionale. Una norma espressamente prevista dalla Costituzione per tutelare i diritti sociali e civili di tutti gli individui.

Il ddl Calderoli prevede che i Lep vadano decisi entro un anno dall’entrata in vigore della legge, attraverso appositi decreti del presidente del Consiglio. Le opposizioni hanno chiesto a più riprese che siano decisi da organi tecnici e non politici, ma il Governo non sembra propenso sul punto.

Una volta emanati i Dpcm sui Lep, toccherà alla Conferenza unificata e al Parlamento dare il via libera. Solo a quel punto, le Regioni potranno inviare al Governo le proprie proposte sulle materie per cui chiedere la competenza esclusiva. Da lì partirà un negoziato tra la Regione ed esecutivo.

L’entità di questi finanziamenti andrebbe stabilita prima delle richieste di autonomia, in modo tale da avere ben presente di quante risorse ha bisogno ogni regione richiedente. Ma, secondo quanto previsto dal disegno di legge, verrebbero distribuiti così i finanziamenti in base alla spesa storica della regione nell’ambito specifico in cui chiede l’autonomia.

In questo modo, verrebbero assicurati maggiori finanziamenti alle regioni del Nord, in quanto hanno più risorse e una spesa storica più alta, e meno a quelle del Sud, dove ci sono meno risorse e quindi una spesa storica più bassa.

Non a caso, il Fatto Quotidiano la definisce come “la secessione dei ricchi”.

Durata

L’intesa raggiunta tra Stato e Regione avrà una durata di dieci anni, ma può essere rinnovato o terminato prima con un preavviso di 12 mesi. Se, trascorso questo periodo, né l’autorità nazionale né quella locale avranno espresso una volontà diversa, l’accordo si intende rinnovato per altri dieci anni.

Il governo dispone verifiche sulle attività e sul raggiungimento dei Lep.

Equità

Saranno previste misure perequative per evitare squilibri economici fra le Regioni che aderiscono all’autonomia differenziata e quelle che non lo fanno. Difatti, nelle Regioni che non concludono intese, lo Stato promuove l’esercizio effettivo dei diritti civili e sociali, anche con interventi speciali.

Un sistema volto ad impedire che vi siano “territori e servizi di serie A e B”, a detta del Presidente del Consiglio.

Ciononostante, è una proposta che divide nettamente: chi ritiene che dare più competenze alle regioni possa agevolare lo sviluppo dei territori e chi teme che, in un’Italia già a due velocità, il Mezzogiorno venga definitivamente lasciato indietro.

Come saranno distribuite le risorse?

Si legge all’articolo 5 del testo:

“Le risorse umane, strumentali e finanziarie necessarie per l’esercizio da parte delle Regioni di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia sono determinate da una Commissione paritetica Stato-Regione”.

Di tale Commissione ne fanno parte, per lo Stato, un rappresentante del ministro per gli affari regionali, un rappresentante del ministro dell’economia, un rappresentante per ciascuna delle amministrazioni competenti e, per la Regione, i corrispondenti rappresentanti regionali.

Ddl Calderoli: via alle critiche

La proposta di Calderoli è stata fortemente criticata da economisti e sociologi. Gli studiosi ne contestano sia gli aspetti tecnici, sia i possibili effetti sociali estremamente negativi e in grado di aumentare le disuguaglianze a livello inter-regionale.

Difatti, secondo l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno (Svimez), la riforma dell’autonomia differenziata rischia di cristallizzare il divario tra Nord e Sud.

Su Repubblica, Luca Bianchi, il direttore del centro di ricerca Svimez, ha sostenuto come l’autonomia colpirebbe gravemente il sistema scolastico con “un vero processo separatista” in cui si avrebbero “programmi diversi a livello regionale, sistemi di reclutamento territoriale e funzionamenti differenziati”.

Altro punto sicuramente problematico è la non specificazione delle modalità con cui attivare le richieste di autonomia, lasciando al governo il compito di elaborare l’intesa tra Stato e regione.

Il Parlamento non avrebbe alcuna voce in merito, perché il Consiglio dei ministri dovrebbe presentare alle camere solo un disegno di legge per approvare l’intesa, sul quale deputati e senatori non avrebbero possibilità di proporre modifiche, privando di autorità l’organo legislativo.

È bene precisare, infine, come verrebbe ribaltata la riforma che ha tracciato i confini fra i poteri dello Stato e quelli delle Regioni, senza ricorrere al procedimento di revisione della Costituzione. E di come verrebbe differenziata anche l’eguaglianza dei cittadini, in aperto contrasto col principio fondamentale di cui all’art. 3.

Si è aperto così un processo politico che ha fatto leva sull’articolo 116 della Costituzione per dilaniare l’intero impianto costituzionale e ribaltare il principio fondamentale dell’unità della Repubblica, trasformando l’Italia in una serie di repubbliche semi-indipendenti.

Chiara Vitone

One response

  1. Prove tecniche di quella secessione tanta invocata dalla lega dai tempi di Bossi. La medicina è amara e viene somministrata a piccole dosi. Un DDL tira l’altro e l’unità d’Italia inizia a scricchiolare, aumentano le disuguaglianze e le disparità dei diritti civili e sociali tra nord e sud. Alzi il dito chi è rimasto sorpreso da questa manovra politica, il tutto approvato di corsa una settimana prima delle elezioni regionali.

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