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L’italiano, che bella lingua! Molti i termini che ne fanno un mosaico pieno di sfumature, diversi gli appigli per confondere due parole fino a farne, in pratica, una sola. Mai come nel periodo che viviamo puntualmente da decenni ogni primavera, più precisamente dal 25 aprile al 2 giugno, ci si imbatte in numerosi casi di disordine più o meno consapevole in riferimento agli avvenimenti identitari della nostra nazione.

Andando con ordine, da pochi giorni ci siamo lasciati alle spalle il 79° anniversario della Liberazione dall’occupazione nazifascista. Una “ricorrenza” (badiamo bene al termine) fondamentale per la costruzione di un Paese che riscopriva così la democrazia e poneva le basi per ciò che sarebbe avvenuto successivamente con la costituzione della Repubblica. Dietro questa ricorrenza risaltano i tratti distintivi di una grande “conquista” ottenuta dal popolo italiano attraverso la perseveranza dei partigiani. Molti di loro (troppo spesso, ancora oggi, bistrattati da alcune ideologie politiche) hanno sacrificato la propria vita per offrirne una a noi. Ergo, più che “festeggiare” (come fanno in molti) il 25 aprile dovrebbe essere un giorno di riflessione attorno al quale ogni italiano è chiamato a riconoscersi.

Quel 25 aprile del 1945 le piazze furono invase dalla gioia più sfrenata, si dirà. E come sarebbe potuto essere diversamente? L’Italia proprio allora si sbarazzava di un ventennio dittatoriale che l’aveva quasi soffocata. Come non lasciare spazio alla felicità, alla grande festa in quelle ore di 79 anni fa…

Gli anniversari, però, non hanno la funzione di riprodurre fedelmente ciò che è stato, bensì di ragionare, a mente fredda, su ciò che è accaduto. Discorso analogo può essere esteso al 2 giugno, quando ci ritroviamo a ricordare la nascita della Repubblica italiana. Con la carta costituzionale la nostra penisola eliminò anche l’ultima macchia lasciata in eredità dalla storia del recente passato, ovvero quella monarchia che legittimò il folle governo mussoliniano.

Anche in questo caso le immagini del tempo ci restituiscono sorrisi, abbracci, bandiere al vento provenienti da (quasi) ogni angolo dello stivale. Come non condividere un simile atteggiamento se anche noi fossimo stati presenti?

Venendo al fulcro del discorso, troppo spesso confondiamo “ricorrenza” con “festa”, preferendo un attimo di inconsapevole felicità a qualche istante di doverosa meditazione. L’impressione è che puntualmente le parole sagge del nostro presidente Sergio Mattarella cadano nel vuoto. Forse ci sarà un perché se ogni anno l’inquilino del Quirinale ripete instancabilmente frasi atte a stimolare il nostro senso critico e ciò, non a caso, si verifica proprio in quei giorni che noi tendiamo a ridurre sotto la banale etichetta “feste” solo perché le notiamo in rosso sul calendario.

Felice Marcantonio

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