Tutti, almeno una volta, ci siamo chiesti da dove sia nato il nostro dialetto, chi abbia inventato le parole che oggi utilizziamo, e soprattutto quanto abbia influito nella nostra quotidianità.
Ebbene, partiamo dal presupposto che la nostra lingua, figlia del latino, si è evoluta negli anni modificandosi ma mantenendo sempre la propria radice, il nucleo principale di quella lingua parlata e scritta ai tempi della fondazione del Sacro Romano impero: il latino, lingua elegante, maestosa, complessa da dove tutto ha inizio.
Ma entriamo ora nello specifico:
Il Sud Italia risente di un’influenza linguistica notevole; basti pensare ai dominatori ai quali è stato soggetto, in particolare i latini, i greci e gli spagnoli misti ai prestiti linguistici ricavati da francese, arabo e inglese. A tal proposito già riusciamo a farci un’idea della convivenza tra idiomi così diversi e complessi che insieme hanno portato alla nascita di quella che rappresenta la parte più viva di una regione, il dialetto, ancor prima della lingua italiana (che si svilupperà in seguito a norme stabilite da vari studiosi e poeti).
Il latino era difficile ed erano in pochi a conoscerlo e usarlo(in particolare modo nelle scritture, dai poeti); il dialetto rappresentava il modo più pratico,veloce e diretto per comunicare, una lingua però con pari dignità del latino che se inizialmente era considerato l’idioma di chi non aveva possibilità di istruirsi, quindi di quella maggioranza della popolazione “rozza e ignorante”, con il tempo verrà utilizzata anche per scrivere opere e canzoni.
Ovviamente ci riferiamo a un dialetto molto lontano da quello che parliamo oggi, con alcuni elementi in comune e altri completamente sostituiti da nuovi.
Il dialetto attuale prevalente nel meridione è il risultato dell’influenza storica del Regno di Napoli e del Regno di Sicilia e la serie di dominazioni straniere che qui hanno vissuto e sviluppato la lingua.
Gran parte dei vocaboli presenti nel dialetto napoletano, ad esempio, derivano dallo spagnolo, la cui dominazione a Napoli durò quattrocento anni; ci riferiamo a espressioni come “quanne buono buono” (sorta di espressione usata a mo’ di rassegnazione di fronte qualcosa che non può essere evitato) deriva da “de bueno a bueno”, oppure “cu mmico” (con me) da “conmigo”, o ancora “ajere” (ieri) da “ayer”; abbiamo termini come : “guappo” (bullo,prepotente) dallo spagnolo “guapo”, “ninno” (bambino) da niño e tanti altri. Apprendiamo dal greco invece “pazzià”(giocare) che deriva da “paizō”,oppure dal latino “cerasum” ricaviamo “cerasa” (ciliegia), “appriesso” (dopo,seguente) nato dal prestito francese “après”. Insomma, ogni parola ha una sua derivazione,una storia e una tradizione alla quale si collega.
Quando inizia a diffondersi il dialetto napoletano, nascono canzoni e le prime opere letterarie in dialetto che subito trovano terreno fertile per diffondersi in tutta la popolazione a partire con Gian Battista Basile ad esempio, con l’opera “Lo cunto de li cunti”, raccolta di cinquanta fiabe scritte in napoletano. Arrivando fino all’età contemporanea e moderna dove canzoni, opere teatrali e film rappresentano l’orgoglio partenopeo nonché il più grande bagaglio culturale che ci portiamo addosso: una lingua che arriva direttamente attraverso l’impatto immediato che suscitano le parole verso chi le ascolta.
Giusy Pannone
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