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Storia di una crisi già annunciata: il solo talento non basta, occorrono anche innovazione e investimenti

La Nazionale di calcio italiana ha fallito la qualificazione al secondo mondiale consecutivo, un risultato senza precedenti. Eppure, la rosa è composta da giocatori di alto profilo sia nazionale che internazionale. Giocatori giovani e pronti ad esplodere uniti a professionisti che da anni si confermano ad ottimi livelli. Nonostante ciò, il tracollo sportivo si è verificato nuovamente. Sfortuna, mancanza di lucidità, bravura degli avversari sono alcuni degli alibi trovati a questa debacle.

Calcio italiano, quali problemi?

La nostra analisi di oggi però parte più da lontano. Cercheremo di analizzare quelle che sono le criticità di un sistema che negli ultimi anni ha visto sempre di più aumentare le distanze dagli altri Paesi europei.

Il calcio in Italia è lo sport più seguito e praticato. L’Italia sia con la sua squadra nazionale che con i suoi club storici (Inter, Milan e Juventus per citare i più premiati) e i suoi talenti (Meazza, Baggio, Del Piero, Maldini, Totti e tanti altri) ha da sempre scritto la storia di questo gioco. Adesso la situazione è cambiata profondamente con una discesa in picchiata sempre più netta.

La Nazionale, come già detto, ad eccezione di una storica vittoria all’Europeo del 2021, non centra la qualificazione alla Coppa del Mondo per la seconda volta consecutiva contro avversari nettamente più deboli. I club non riescono più ad essere competitivi a livello internazionale o sono troppo rare le occasioni di vittorie di trofei (Inter nel 2010, Roma quest’anno). I grandi nomi del passato non trovano degni eredi. Ci sono giocatori che spesso nel momento del salto di qualità falliscono miseramente o non sono tecnicamente e tatticamente idonei ai palcoscenici nazionali. Per alcuni è un momento di passaggio, qualcosa che può capitare, di casuale. Ma molti addetti ai lavori, ex professionisti del settore, giornalisti e calciatori la vedono diversamente.

Le falle nel “sistema calcio” italiano

Il sistema calcio in Italia ha delle crepe che sono abbastanza profonde su più lati. Parliamo degli investimenti nelle infrastrutture, dei troppi giocatori stranieri nel nostro campionato, dei settori giovanili, di una filosofia di gioco antica e non al passo col resto d’Europa (dove il livello di questo sport è il più alto al mondo).

Pochi investimenti

Partendo con ordine, un primo problema si riscontra negli investimenti che spesso mancano. Infatti sono poche le strutture moderne che possano portare introiti consistenti alle società e strizzare l’occhio ai tifosi, sempre meno invogliati ad entrare in stadi fatiscenti e senza alcun tipo di servizio. Pochi sono gli esempi di strutture di proprietà (dai campi di allenamento della prima squadra a quelli dei ragazzi del settore giovanile) che abbiamo sul territorio nazionale. Questo crea un problema di entrate che si traduce in meno denaro da poter investire sia nello sviluppo del club che nell’acquisto dei giocatori più forti.

In Europa la tendenza è opposta. Inghilterra, Germania e Spagna hanno avviato un massiccio processo di investimenti agli albori degli anni 2000, quando il calcio italiano era ancora il migliore di tutti e le squadre italiane le più forti e vincenti a livello internazionale.

Troppi calciatori stranieri

Altro problema è quello legato alla presenza massiccia di giocatori stranieri nei nostri campionati. Su 553 giocatori del massimo campionato italiano 2021/22, ben il 62% non è italiano, solo 10 stagioni fa il dato si attestava sul 36%. Il discorso è ampio. Sicuramente gli “stranieri” che arrivano nella nostra Serie A molto spesso alzano il livello generale, ma c’è sempre meno spazio per giovani italiani a fronte di qualche potenziale giocatore di medio livello che arriva da tornei semi sconosciuti. In questo modo i nostri talenti non riescono a crescere, portando poi quei pochi a dover andare a giocare in serie minori o addirittura all’estero. Tutto questo si ripercuote ovviamente sulla Nazionale, che ha un bacino molto più ristretto per le convocazioni.

Il non-ruolo dei settori giovanili

Se i giovani italiani non emergono è anche colpa dei settori giovanili, considerati più un peso che una vera risorsa da cui attingere. Pochi sono i club che investono e puntano tanto sui ragazzini.

A livello di squadre nazionali, mancano spesso strutture adeguate e anche qui per poter vincere qualche trofeo si ricorre a giocatori provenienti dall’estero. Arrivati al momento del salto nel mondo dei grandi, sono giudicati troppo acerbi e vengono mandati in serie minori. Qui spesso perdono entusiasmo, stimoli e opportunità vere di poter emergere.

A livello locale, parlando del settore “Scuola Calcio” il problema è ancora più drammatico. Strutture che se non sono inadeguate sono quasi fatiscenti, mancanza di professionalità (poche le figure di istruttore di base che hanno seguito corsi e ottenuto una qualifica), piccole società che mancano di programmazione e pensano solo a massimizzare i pochi profitti delle iscrizioni. Si punta a far giocare il bambino un po’ più “grosso” perché fa vincere il piccolo torneo dell’oratorio, anziché concentrarsi su ogni singolo iscritto. Come la scuola “normale”, anche la scuola calcio ha come obiettivo formare tutti, dal più al meno bravo, puntando alla formazione e non al risultato.

Quando supereremo il calcio “all’italiana”?

Ultimo punto da analizzare è quello riguardante la mentalità, sia da un punto di vista sportivo che umano. Lo stile di gioco all’italiana (“catenaccio”, difesa e contropiede) è ormai superato da altri tipi che invece puntano al dominio del gioco in maniera fisica o con la qualità (Inghilterra e Spagna, per intenderci). Spesso i pochi che hanno cercato di innovare non hanno avuto il tempo necessario per poter portare e far assimilare bene questo cambiamento. Come conseguenza, molte società sono tornate indietro, sulla strada di un gioco già collaudato, a discapito dello spettacolo. Quello che più conta in Italia è raggiungere il risultato, non il come. Questo è uno dei più grandi limiti che non permette il miglioramento e la competitività con il resto d’Europa.  

Invece dal punto di vista umano, il calcio è troppo spesso una valvola di sfogo per tante persone che nel tifo spesso eccedono, dimenticando che si tratta di un semplice sport, un semplice passatempo. Dal genitore che si lamenta troppo nelle scuole calcio (il figlio non gioca o litiga con i genitori degli altri bambini per un fallo o un’esultanza troppo accesa) al tifoso pronto alla contestazione e a creare disordini prima, durante e dopo la partita. Tutto ciò non fa che creare continue polemiche che alimentano tensione e nervosismo in un ambiente dove la pressione già di per sé è un nemico da affrontare in molte occasioni.

Siamo forse in uno dei punti più bassi della nostra storia calcistica. Adesso, senza perdere tempo, bisogna ripartire e tornare ai fasti di un tempo perché, riprendendo una famosa citazione, gli italiani non sono solo un “popolo di santi, poeti e navigatori”, ma anche di grandi calciatori. Se il settore vuole ripartire, deve ricostruirsi dalle fondamenta, questa è l’unica vera grande giocata di cui abbiamo bisogno.

Mario Di Donato

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