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Illustrazione di Ilaria Longobardi (@dallamiap.arte)
CHI FU ALDO MORO

Aldo Romeo Luigi Moro nasce a Maglie (LE) il 23 settembre 1916. Fondatore della Democrazia Cristiana e suo rappresentante all’Assemblea costituente, ricoprì diverse cariche politiche, tra cui Ministro della Giustizia, della Pubblica istruzione e degli Esteri. Fu Presidente del Consiglio dei ministri per ben cinque volte, guidando i governi di centro-sinistra tra il 1963 e il 1968.

Delle personalità che hanno fatto la storia del nostro Paese, spesso, non si conosce il risvolto umano. Il più delle volte, dobbiamo essere grati ai familiari per le testimonianze pervenute: in questo modo, la figura di queste persone, ben conosciute e studiate nella loro valenza pubblica, acquistano un’immagine più luminosa, con la conoscenza della loro dimensione più intima e privata.

È questo il caso di Agnese Moro, autrice del libro “Un uomo così. Ricordando mio padre”: una rievocazione affettuosa di una figlia che ha subito il trauma dell’orrore del terrorismo ma che riesce a scrivere un libro sereno, pieno di ricordi dolci di un padre che ha amato molto i propri figli. Con esso, restituisce l’immagine di un uomo singolare, al vertice del potere ma semplice nello stile della vita quotidiana.

Nell’introduzione si legge chiaramente l’intento perseguito:

“Queste pagine sono nate dal desiderio di far conoscere ai miei figli qualcosa del loro nonno, che non hanno potuto incontrare in questa vita e che sono abituati a vedere riproposto alla televisione nella terribile fotografia da prigioniero delle Brigate rosse o cadavere nel portabagagli di una macchina circondata da persone agitate. Volevo farglielo vedere, invece, così come lo avevo visto io e come mi è rimasto nel cuore”.

Politico impegnato e coerente ma anche genitore premuroso, Aldo Moro è stato, ed è tutt’oggi, un riferimento importante. Sua peculiarità, come scrive anche la figlia, era la curiosità nell’ascoltare e nel voler capire, la capacità di guardare in profondità, di vedere e comprendere.

Celebre la foto, scattata nel 1972 sulla spiaggia di Terracina, che ritrae padre e figlia. Qualche anno più tardi, Agnese Moro racconta come, anche in vacanza, il padre indossasse il completo: era il suo modo di rispettare le istituzioni. “Papà – gli chiedevo – perché ti conci sempre così? E lui mi rispondeva che, siccome era un rappresentate del popolo italiano, doveva essere sempre dignitoso e presentabile”. Sempre.

CRONACA DEL SEQUESTRO

Una data, quella del 16 marzo 1978, incancellabile nella storia del popolo italiano.

Verso le ore 9, un comando delle Brigate Rosse entrò in azione a via Fani, Roma. Bloccate le auto del Presidente, furono uccisi i suoi cinque agenti di scorta. Aldo Moro fu portato via a bordo di una Fiat 132 blu, iniziando così i suoi 55 giorni di prigionia.

Alla base delle motivazioni che portarono al rapimento, ci sono i dissensi causati dalla sua linea politica. Egli fu, infatti, fautore del cosiddetto compromesso storico, ovvero la tendenza al ravvicinamento tra DC e Partito Comunista Italiano. L’apertura di Moro verso il PCI destò clamore, non solo all’interno del suo partito ma, soprattutto, da parte delle BR che vedevano in lui l’emblema di un accordo che avrebbe portato all’assoggettamento del PCI allo Stato Democratico, da loro disprezzato.

TAPPE PRINCIPALI DELLA VICENDA

16 marzo. La notizia dell’agguato si diffuse immediatamente in ogni angolo del Paese. I cittadini di tutta Italia proclamarono sciopero generale. In serata, il governo Andreotti, il primo con il voto favorevole del PCI, ottiene la fiducia alla Camera e al Senato.

19 marzo. Viene pubblicata su tutti i giornali la foto di Moro e il testo del “comunicato n°1”, in cui si annuncia che sarà sottoposto a un processo da parte di “un tribunale del popolo”. Punendo Moro, le BR volevano punire tutta la classe politica, dimostrando il loro dissenso. Lo scopo era generale: colpire la DC, espressione in Italia dello “Stato imperialista delle multinazionali”.

21 marzo. Vengono varate dal governo le leggi di emergenza per fronteggiare il fenomeno terroristico.

26 marzo. Arriva il “comunicato n°2” delle Brigate Rosse: annunciano l’inizio del processo ad Aldo Moro e i capi d’accusa.

30 marzo. “comunicato n°3” con annessa lettera al Ministro dell’Interno Cossiga: Moro dice di trovarsi ”sotto un dominio pieno e incontrollato dei terroristi” e accenna alla possibilità di uno scambio.

5 aprile. Arriva una lettera al segretario della DC Zaccagnini: Moro prospetta sul piano dell’opportunità umana e politica, la liberazione di prigionieri di ambo le parti “Se così non sarà le inevitabili conseguenze ricadranno sul partito e sulle persone. […] Poi comincerà un altro ciclo più terribile e parimenti senza sbocco. […] Che Iddio vi illumini e lo faccia presto, come necessario”.

La paralisi è politica e la DC non fa nulla.

16 aprile. Arriva il sesto comunicato. L’interrogatorio al prigioniero è terminato: Moro è colpevole e viene pertanto condannato a morte.

19 aprile. Si annuncia l’avvenuta esecuzione e l’abbandono del corpo nel Lago della Duchessa. Il comunicato, falso in modo evidente, è ritenuto autentico e per giorni il corpo di Moro sarà cercato, con un grande schieramento di forze.

25 aprile. I Brigatisti chiedono la scarcerazione di tredici detenuti politici in cambio della vita di Aldo Moro. Emblematica la lettera pervenuta a Zaccagnini quel giorno. Qui, il Presidente, scrive il suo testamento spirituale e politico, in cui chiede che ai suoi funerali non partecipino né autorità di Stato né uomini politici. La famiglia rispetterà tali volontà, restituendogli la dignità di cui era stato privato, soprattutto dai colleghi più cari.

Durante il periodo della sua detenzione, scrisse 86 lettere ai principali esponenti della Democrazia Cristiana, alla famiglia, ai principali quotidiani e a papa Paolo VI. Alcune arrivarono a destinazione, altre non furono mai recapitate e vennero ritrovate in seguito. Attraverso esse, cercò più volte di aprire una trattativa con i colleghi di partito e con le massime cariche dello Stato. Tuttavia, la maggior parte del mondo politico dell’epoca ritenne che Moro non avesse piena libertà di scrittura.

9 maggio. Il cadavere di Aldo Moro, colpito da ben 12 proiettili, viene ritrovato nel portabagagli di una Renault 4 rossa in Via Caetani. La democrazia italiana venne privata, in quell’agguato, di uno dei leader più autorevoli e capaci.

«Siamo ormai credo al momento conclusivo. Resta solo da riconoscere che tu avevi ragione […] vorrei restasse ben chiara la piena responsabilità della DC con il suo assurdo e incredibile comportamento […] si deve rifiutare eventuale medaglia […] c’è in questo momento un’infinita tenerezza per voi […] uniti nel mio ricordo vivere insieme… vorrei capire con i miei piccoli occhi mortali come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce sarebbe bellissimo.» (Lettera alla moglie Eleonora. 5 maggio 1978.)

Chiara Vitone

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