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Street artist, realista, attivista, regista, identità sconosciuta.
A cosa serve saperne di più sulla biografia di un grande artista se ciò che lascia alla gente, è molto più importante?
In questi giorni il teatro Margherita di Bari sta ospitando i capolavori di Banksy. Il teatro, non una semplice strada.
L’atmosfera è giusta, è piena di sentimenti, di satira, di realtà, di contemporaneità. È ricca di messaggi prepotenti, di considerazioni per alcuni giuste, per altri sbagliate, è una finestra affacciata su quello che stiamo vivendo in questo dannato periodo.

La carriera di Banksy inizia nel 1998 quando insieme ad un altro esponente della street art, Inkie, organizza la prima manifestazione di street art britannica.
Ma maggior importanza hanno gli anni 2000 : si trasferisce a Londra e iniziano a comparire i suoi rat nelle zone nord della periferia urbana, quella abitata da lavoratori.
I topi sono molto apprezzati da Banksy. Sono utilizzati per combattere la condizione di marginalità in cui molto spesso si ritrova lo street artist. Dunque si può notare come e quanto egli dia importanza alle piccole cose, a ciò che provoca addirittura disgusto.
“I topi sono piccoli, odiati, perseguitati e disprezzati, vivono nel substrato delle città, nelle fogne e nelle discariche. Eppure, sono capaci di mettere in ginocchio intere civiltà, di colonizzare aree e dettare leggi”.
Oltre ai ratti, particolare attenzione è posta alle scimmie. Può notarsi sicuramente in “Laugh now”, opera commissionata da un locale notturno a Brighton. È da quando Darwin pubblicò “L’origine della specie”( 1859), sostiene Banksy che in qualche modo gli esseri umani hanno iniziato a ridicolizzare i loro parenti più stretti.
La scimmia di Banksy è uno schiaffo all’arroganza dell’umanità nei confronti delle altre specie viventi. E nasce da qui un parallelismo con la facoltà degli umani di creare arte. Anche i graffiti sono stati ridicolizzati con modi dispregiativi.
La scimmia racchiude la satira sociale. La scimmia è utilizzata per ironizzare sulla stupidità umana, fin troppo diffusa.

Il tema dell’infanzia è molto frequente nei capolavori di Banksy : è la realtà e il bisogno di raccontarla che stupisce. Si può vedere in “Jack & Jill” , la quale rappresenta due bambini con giubbotti antiproiettili indossati con su scritto “police”. I giubbotti antiproiettili sono utilizzati molto dall’artista, insieme alla
polizia. I due bambini raffigurano la spensieratezza ostacolata dalla preoccupazione dei genitori, la quale a volte potrebbe impedire ai figli di essere se stessi e la tendenza di una società “militarista”che eccede nella protezione familiare. E a proposito di polizia, è impossibile non lasciarsi incantare da “Flying
copper”, il famoso poliziotto volante il cui volto è sostituito da un iconico smile.
Quest’ultimo è stato inserito per far capire quante oppressioni e minacce possano nascondersi dietro un volto di chi dovrebbe proteggerci . Questa opera suggerisce un forte scetticismo verso chi amministra il potere.

Ma, per l’artista, la street art è il modo più potente per esprimere la propria arte nella nostra epoca. È il mezzo per parlare a chi non sa e deve sapere. Molte sono le opere che racchiudono l’atrocità della guerra, la manipolazione mediatica, lo sfruttamento minorile. E dinanzi a queste assurdità, il visitatore della mostra , deve riflettere e non soltanto soffermarsi su dipinti apparentemente “sporchi”.
L’esposizione è un invito ad andare oltre, oltre tutto, oltre semplici segni, oltre semplici etichette.
È facile parlare di un artista pensando soltanto alle opere più conosciute come “Girl with balloon” , la quale rappresenta la speranza, che forse più di tutte deve far luce in questo periodo buio, ma la cosa più importante quando si tocca con mano l’intero lavoro di un artista, è scavare nel suo animo, in questo caso nei suoi graffiti, per alcuni soltanto scarabocchi, per altri, per chi vive di bellezza, disegni
meravigliosi, ornamenti impeccabili.

Chiara Vitillo

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