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I criminali non vanno lodati, ma è giusto che chi sbaglia paghi, a prescindere da chi sia.

«È assurdo che si mescoli con tanta disinvoltura il diavolo e l’acqua santa. Potevano portare in processione tanti simboli positivi e invece hanno scelto un baby rapinatore, simbolo del degrado socio-culturale che imperversa e va assolutamente contrastato» scrive sui social il consigliere regionale Francesco Emilio Borrelli.

Lo scorso 18 aprile, in occasione del lunedì in Albis, dopo due anni di stop forzato a causa dell’emergenza sanitaria dovuta al covid, sono tornati i “fujienti”, come da tradizione: si tratta dei devoti alla Vergine Madonna dell’Arco, la maggior parte provenienti dai comuni limitrofi, che nel giorno di Pasquetta formano una processione percorrendo le strade che conducono proprio al santuario della Vergine, per renderle “grazie”. È senz’altro considerata una delle celebrazioni religiose più suggestive del Sud.

Tra i volti dei Santi che campeggiavano gli stendardi di notevoli dimensioni, è apparso anche il volto di Ugo Russo, il baby rapinatore freddato da tre colpi di pistola da un carabiniere fuori servizio, il 1° marzo del 2020; ciò ha suscitato dissensi e polemiche.
Si è perciò subito tornati a discutere di un argomento più volte emerso: la necessità di limitare certe “manifestazioni” che tendono a “santificare” i criminali.
Il Comitato Verità e Giustizia per Ugo Russo ha però subito puntualizzato che non vi fosse alcuna intenzione di glorificazione, bensì quella di celebrare il diciottesimo compleanno del ragazzo, avvenuto il 10 aprile.

«Domenica 10 aprile Ugo Russo avrebbe compiuto 18 anni. In questa occasione la sezione della Madonna dell’Arco di piazza Parrocchiella di cui è stato attivo e devoto frequentatore fin dall’infanzia (come testimoniano le foto e come tutta la sua famiglia) ha realizzato uno stendardo per ricordarlo» hanno specificato in una nota, precisando anche che «nel culto popolare della Madonna dell’Arco sono migliaia gli stendardi e gli ex voto in ricordo di persone scomparse, ancor più se giovanissime, da parte di parenti, amici o anche direttamente di gruppi di “vattienti”, se chi non c’è più frequentava assiduamente le loro iniziative legate al culto.»

Ma chi era esattamente Ugo Russo?

Ugo era un ragazzino di quindici anni che la notte del 1° marzo del 2020, in compagnia di un suo amico a bordo di uno scooter, tentò di mettere a segno una rapina ai danni di un uomo; lo scopo era quello di rubargli il Rolex. Ugo aveva con sé una pistola (giocattolo, verrà poi accertato) e non sapeva che la sua “vittima” fosse un carabiniere fuori servizio, o almeno così dichiarò l’amico, durante l’interrogatorio; il carabiniere, invece, affermò di essersi subito identificato; quest’ultimo, probabilmente accecato dalla rabbia per ciò che gli stava accadendo, sparò con la sua pistola tre colpi che vennero esplosi mentre il quindicenne era di spalle (così diranno i genitori), dunque presumibilmente “a fatto compiuto”. L’ultimo, quello che Vincenzo Russo, padre di Ugo, fa sapere essere stato quello mortale, colpì il minorenne dritto alla nuca.
L’ipotesi di “legittima difesa” lasciò subito il posto a un’accusa ben più grave: quella di tentato omicidio; ciononostante, tutto ancora tace. Le indagini sono ferme così come il processo. Tutto appare ancora vago e i genitori si dicono come in un limbo: «Abbiamo avuto l’esito dell’autopsia dopo più di un anno ma si tratta di un documento confuso, ci dicono che si devono ancora fare delle verifiche, delle perizie. Viviamo in un silenzio lacerante, che giorno dopo giorno si fa sempre più forte».

Vittima o carnefice?

Ci troviamo di fronte ad una vicenda indubbiamente complessa e ambigua. Non è facile, e forse neppure giusto, schierarsi da una parte o dall’altra.

Ciò che appare evidente è che Ugo viveva una condizione socio-culturale critica. Un quindicenne che impugna una pistola, seppur finta, è chiaramente problematico. Lamentarsi delle Istituzioni poi, in certi casi, non fa altro che alimentare e favorire quei pregiudizi che da sempre investono Napoli. Si tende, infatti, in questo modo, a voler giustificare atteggiamenti criminali a tutti i costi, favorendoli anche, contro chi invece ogni giorno lotta per la giustizia e per vivere una vita onesta e tranquilla.

Sin da subito, sono emersi i precedenti penali del padre di Ugo, quasi come a voler schedare la persona; la stessa reazione (assolutamente da deplorare) dei familiari e amici, i quali, dopo aver appreso la notizia del decesso del ragazzo, devastarono il pronto soccorso dell’Ospedale Vecchio Pellegrini e spararono quattro colpi di pistola contro la caserma Pastrengo, sede del Comando Provinciale dei Carabinieri di Napoli, è stata da molti interpretata come una vera e propria etichetta.


Comprensibilmente, pare quindi che l’ambiente familiare abbia influenzato in un certo modo l’azione criminale del baby rapinatore, che qualcun’altro ha invece definito “una bravata”. Ma è invadente che non lo sia.

È Indubbiamente ingiusto che un cittadino qualunque si veda puntare una pistola e sia costretto a spogliarsi dei propri beni, ma non è neppure giusto tutto il resto.

L’articolo 7 della Costituzione Italiana, che afferma “Tutti sono eguali davanti alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad una eguale tutela da parte della legge”, eppure l’assassino in questione è ancora libero. Il carabiniere ventitreenne ha commesso un grave errore, tuttavia il processo non c’è ancora stato e si fa strada sempre di più la convinzione che, forse, se a sparare fosse stato un civile, le cose sarebbero quasi certamente diverse. Le esperienze, purtroppo, ce lo confermano.

Fumetti, murales e stendardi

Anche le polemiche non sono però da biasimare. Di altarini che tendono a “santificare” i criminali ne è da sempre piena la città, così come di murales (e adesso anche gli stendardi?). L’azione della prefettura di Napoli si occupa proprio nello specifico dello sgombero e dello smantellamento di simboli legati a personalità e fatti appartenenti alla criminalità organizzata.

A distanza di qualche settimana da quel 1 Marzo, nei quartieri Spagnoli apparve il “famoso” murale dedicato proprio a Ugo, che subito divise l’opinione pubblica. Il già citato consigliere F.E. Borrelli si espresse a favore della rimozione e affermò a tal proposito «Non entro nel merito della vicenda processuale, ma va detto senza paura che quel ragazzo era un rapinatore e quel murale è diventato simbolo e riferimento dei camorristi. La famiglia poteva far fare quel dipinto in uno spazio privato e non in uno pubblico», al contrario invece di altri volti noti che si opposero fortemente alla posizione di Borrelli e non solo, come lo scrittore De Giovanni, Luca Zulu Persico dei 99 Posse e Maurizio Braucci, sceneggiatore di Gomorra.

«Il murale serve per evitare che si ripetano episodi del genere, i giovani devono dedicarsi ad altro e non commettere reati. Quando i suoi coetanei lo vedono devono avere paura affinché non accada mai più una tragedia come questa. Con la storia del murale la morte di mio figlio è passata in secondo piano per tutti. Non sappiamo ancora nulla, la vicenda è rimasta ferma a quella sera. Ma noi non ci fermeremo perché vogliamo sapere la verità», aveva invece specificato Vincenzo Russo.
Il murale è stato cancellato a seguito della sentenza del Tar lo scorso settembre, dopo una prima richiesta da parte del procuratore generale di Napoli, Luigi Riello, rispetto alla rimozione di tutti «gli altarini dedicati alla camorra»; poi il fumetto di Zerocalcare, progetto nato dopo l’incontro con Vincenzo R., che racconta e rappresenta la storia di Ugo e «tante cose finora non dette».

E, infine, lo stendardo.
La verità è una: la criminalità non deve essere lodata, né favorita.

Napoli viene spesso additata quando si parla di delinquenza ma non è solo questo; certo, esiste anche questo aspetto e non bisogna girarsi dall’altra parte, ma è giusto anche ricordare che non esistono solo criminali e che la lotta contro la malavita deve continuare.

Ci si continua a chiedere se Ugo sia la vittima o carnefice, ma oramai poco importa: siamo di fronte all’ennesima tragedia, un ragazzo che avrà per sempre quindici anni e un giovane carabiniere che per il resto della vita porterà con sé i segni indelebili di questa brutta vicenda e della sua azione. Una disgrazia, come tante, che porta ad interrogarci su quelle che sarebbero potute e dovute essere le alternative di questo triste epilogo.

«Voglio capire se mio figlio poteva essere arrestato e avere la possibilità di fare i conti con il suo errore oppure non c’era altra soluzione che ucciderlo?» si chiede Vincenzo Russo, e ce lo chiediamo anche noi.

Indubbiamente tutti ci hanno perso qualcosa.

Carmela Fusco

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