Dall’inizio del 2024, 58 detenuti e 6 agenti penitenziari si sono tolti la vita, affiancati da oltre 580 tentativi di suicidio e migliaia di episodi di autolesionismo. Questi numeri fotografano l’estrema gravità della situazione nelle carceri italiane.
Il 3 luglio 2024, il Consiglio dei Ministri, su proposta della premier Giorgia Meloni e del ministro della Giustizia Carlo Nordio, ha approvato il decreto-legge “Carcere Sicuro”, che però l’opposizione ha giudicato inadeguato per affrontare efficacemente il problema del sovraffollamento. La norma prevede l’assunzione di mille nuovi agenti penitenziari, ma non menziona figure come educatori o psicologi, fondamentali per il trattamento e la riabilitazione dei detenuti.
Come si misura il sovraffollamento nelle carceri
Attualmente, le carceri italiane ospitano 61.480 persone, mentre la capienza ufficiale è di 51.234 posti. Il tasso medio di sovraffollamento è quindi del 135%, con alcune strutture, come San Vittore, che raggiungono picchi ben oltre il 200%. Questa condizione costringe i detenuti a vivere in spazi angusti e fatiscenti, spesso con il doppio delle persone rispetto alla capienza regolamentare. La situazione è aggravata dalla carenza di personale: a San Vittore, ad esempio, gli agenti penitenziari in servizio sono 551, a fronte dei 780 previsti.
Le conseguenze del sovraffollamento
Il sovraffollamento, combinato con la scarsità di personale, compromette ogni aspetto della vita carceraria. Non solo lo spazio minimo vitale non è garantito, ma anche le attività quotidiane, come l’accesso alle ore d’aria o alle cure mediche e psicologiche, risultano ridotte o completamente sospese.
Il sovraffollamento carcerario non si limita a creare disagi logistici, ma ha conseguenze gravi sulla salute mentale e fisica dei detenuti. Le celle sovraffollate e la mancanza di privacy generano un senso di soffocamento, ansia e stress cronico. L’assenza di spazi adeguati per attività ricreative o terapeutiche peggiora ulteriormente la situazione, facendo emergere disturbi mentali che non possono essere trattati adeguatamente a causa della carenza di psicologi e psichiatri. La depressione e i comportamenti autolesionistici aumentano, alimentando un circolo vizioso che porta spesso ai tragici suicidi.
Anche le condizioni igieniche nelle celle, spesso fatiscenti, contribuiscono al peggioramento della salute fisica, con l’insorgenza di malattie legate al sovraffollamento e alla mancanza di cure mediche tempestive.
La gestione del personale penitenziario e il loro stress
Non solo i detenuti soffrono le conseguenze del sovraffollamento: anche il personale penitenziario è sottoposto a una pressione crescente. Con un organico ridotto e un numero elevato di detenuti da gestire, gli agenti vivono una condizione lavorativa esasperante. Il rischio di incidenti e tensioni aumenta, così come la probabilità di burnout tra il personale. L’assenza di figure professionali di supporto, come educatori, assistenti sociali e psicologi, fa ricadere sugli agenti non solo compiti di sorveglianza, ma anche di gestione emotiva e comportamentale dei detenuti, per i quali non sono sempre adeguatamente formati. Questo sovraccarico di responsabilità mina ulteriormente la sicurezza all’interno delle carceri.
Proposte di riforma e misure alternative alla detenzione
Per affrontare il problema del sovraffollamento, è necessario ripensare il sistema penitenziario in modo strutturale. Le misure alternative alla detenzione, come l’affidamento in prova ai servizi sociali, i domiciliari e i lavori di pubblica utilità, potrebbero alleviare la pressione sulle carceri e favorire la riabilitazione dei detenuti. Al contempo, è indispensabile investire su un rafforzamento delle strutture di supporto e riabilitazione, con l’incremento delle figure professionali legate al trattamento rieducativo e alla cura della salute mentale. Solo un sistema più orientato al reinserimento sociale potrà, infatti, ridurre la recidiva e garantire un miglioramento delle condizioni carcerarie.
La necessità di un dialogo politico e sociale
Affrontare l’emergenza carceraria non è solo una questione di leggi o risorse, ma richiede un profondo cambiamento culturale e politico. La giustizia penale in Italia deve evolvere verso un modello che non consideri la detenzione l’unica soluzione, ma che preveda percorsi alternativi di recupero e reintegrazione. Inoltre, è fondamentale che la società civile prenda coscienza della situazione nelle carceri, spesso ignorata o trascurata, e che si crei un dialogo costruttivo tra istituzioni, organizzazioni non governative e cittadini per trovare soluzioni durature e condivise.
Il monito dell’Europa
L’Italia è già stata ripetutamente condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per le condizioni disumane all’interno delle carceri, un segnale chiaro dell’urgenza di intervenire. Non solo per rispettare gli standard europei, ma soprattutto per garantire i diritti umani fondamentali. Un sistema penitenziario sovraffollato e malfunzionante non fa che alimentare l’inefficienza della giustizia e perpetuare un ciclo di criminalità e disagio sociale.
Loredana Zampano
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