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A chi diceva che “non ci sono i soldi”, ora si potrebbe rispondere: dipende per cosa. Perché al vertice NATO dell’Aia, a fine giugno, l’Italia si è impegnata a portare la spesa per difesa e sicurezza al 5% del PIL entro il 2035. È una cifra che, tradotta in soldoni, potrebbe aggirarsi tra i 165 e i 220 miliardi di euro nei prossimi dieci anni, ovvero una media di circa 16-22 miliardi l’anno in più rispetto ai livelli attuali.

Dai numeri alla realtà

Oggi siamo attorno all’1,5%, ma per far bella figura con Washington il governo ha già spalmato dentro voci mai considerate difesa: cyber, protezione civile, ricerca. Il 2% nominale del 2025, insomma, è figlio più della contabilità che dei carri armati. Ma questo non basterà. Perché il nuovo target impone 3,5% solo di “difesa pura”: esercito, missili, mezzi, soldati. Più un altro 1,5% per “sicurezza allargata”. Un gioco di parole utile a diluire i numeri, ma che non cambia la sostanza: dovremo raddoppiare la spesa militare in dieci anni. A occhio e croce, 200 miliardi in più da qui al 2035.

Il governo minimizza, l’opposizione grida al furto con destrezza, e intanto nessuno ha ancora spiegato da dove si prenderanno quei soldi.

Da dove prenderà i soldi l’Italia?

Dove trovare i soldi? Le opzioni sono sempre le stesse, ma oggi appaiono più incerte che mai:

  • Tagli alla spesa civile: il governo assicura che scuola e sanità non si toccheranno. Ma è difficile che l’aumento della difesa conviva con tutte le altre priorità.
  • Aumento delle tasse: già viste accise in rialzo e ipotesi di prelievi su energia e patrimoni alti. Una manovra silenziosa che potrebbe allargarsi.
  • Privatizzazioni: l’ultima delibera ha messo in vendita quote di ENAV e Leonardo, ma si tratta di fondi una tantum.
  • Debito pubblico: per ora Meloni dice “no”, anche per evitare rotture con Bruxelles. Ma la pressione crescerà, specie se la crescita resta bassa.

Il Ponte “strategico” e il Sud usato come scudo

E poi c’è il colpo di scena: il Ponte sullo Stretto. Costo previsto: 13,5 miliardi. Funzione: strategica, secondo Salvini e Tajani. Perché collegherebbe due regioni con basi NATO, favorirebbe la mobilità militare e starebbe “nella logica della sicurezza”.

Tradotto: lo vogliono infilare nel famoso 1,5% “soft” per far quadrare i conti.

Che ci credano davvero o sia solo l’ennesimo maquillage contabile, lo dirà Bruxelles. Ma intanto il Sud diventa il cavallo di Troia di una manovra che sposta miliardi dal welfare alla guerra.

Un impegno pesante, quasi insormontabile per l’Italia

Ecco la verità: l’Italia ha accettato un vincolo durissimo, senza che nessuno – né in Parlamento né nel Paese – abbia potuto discuterne davvero. I 5 punti di PIL sono diventati il nuovo dogma, e se oggi sembrano una cifra lontana, domani saranno l’alibi per dire “non possiamo fare altro”.

Una domanda, però, rimane: questa valanga di miliardi ci renderà davvero più sicuri? O sarà solo l’ennesimo sacrificio imposto da chi ha già deciso che la guerra è il nuovo orizzonte politico?

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