Il 25 aprile 1945 le truppe d’occupazione nazifasciste iniziano la ritirata dalle città di Torino e Milano. La Resistenza ha vinto, anche se ci vorranno ancora alcuni giorni per liberare l’intero territorio italiano dalle milizie tedesche e dai repubblicani di Salò. Fatto sta che da ormai 80 anni questa data è convenzionalmente indicata come la chiave di volta per restituire al nostro Paese la libertà perduta per un ventennio. Libertà, certo, ma anche diritti, democrazia, solidarietà, uguaglianza diventano parole chiave per guidare i padri fondatori della Repubblica italiana verso la nascita della Costituzione.
Entrata in vigore il 1° gennaio 1948, questa difatti chiude il cerchio, sancendo il passaggio definitivo dalla dittatura più spietata ad una nuova e duratura era di pace e, appunto, di democrazia. Lecito è, a decenni di distanza, chiedersi se davvero noi posteri abbiamo colto il vero senso della svolta.
Compiendo un viaggio a ritroso nel tempo duole constatare che i principi dell’Italia repubblicana e democratica si sono persi più o meno diffusamente per strada.
Dagli “anni di piombo” alla “stagione delle stragi”
Se infatti la fine degli anni ’50 e i primi dei ’60 hanno visto il nostro Paese mettere le basi per costruire un presente ed un domani luminosi, passando quindi dalla difficile ricostruzione al boom economico, ecco che all’alba del decennio successivo le parole e le azioni pacifiste e moderniste hanno lasciato il posto ad un ritorno del fanatismo politico, messo in pratica in maniera criminale da bande di estremisti (tanto di destra quanto di sinistra). Gli anni ’70 passeranno così alla storia non tanto per alcune conquiste civili (vedasi la legge sul divorzio) quanto per gli attentati che metteranno più o meno tutta l’Italia a contatto con il “piombo”. Una stagione di sangue, di sofferenza e di smarrimento che raggiungerà l’apice nel 1978 con il rapimento prima e l’assassinio poi dell’onorevole Aldo Moro, fautore e promotore di quel compromesso storico che avrebbe forse realizzato compiutamente il disegno democratico immaginato oltre un trentennio addietro.
Con l’avvicinarsi della contemporaneità, dopo una breve tregua, ecco che la mafia ha deciso di prendersi la scena, con l’evidente benestare di parte della classe politica, eliminando dalla scena con una ferocia e una rapidità impressionanti figure di magistrati e di altri servitori dello Stato “colpevoli” unicamente di non essersi piegati a logiche clientelari ed opportunistiche. Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tanti altri sono stati dichiarati “colpevoli” in quanto, semplicemente, persone per bene fedeli alla Repubblica italiana e ai suoi principi.
L’Italia del 2000
Nel nuovo millennio la degenerazione morale del nostro Paese non si è arrestata, anzi. Diremo più che altro che le forme per calpestare i valori nati proprio da quel 25 aprile 1945 sono cambiate ed “evolute”.
Ogni giorno almeno una donna viene privata dei propri diritti e spesso della vita stessa, un padre va a dormire in strada con tutta la famiglia, ogni giorno l’odio pervade indistintamente l’animo di ognuno, la legge dimostra di non essere in realtà uguale per tutti e molti si sentono quindi legittimati ad usare la violenza per manifestare il proprio dissenso. C’è poi qualcuno che esce all’alba per andare a lavorare, per sentirsi realizzato ed insignito della propria dignità e non fa più ritorno a casa e chi manifesta il proprio pensiero non sa se il mattino seguente potrà passeggiare liberamente o ci vorrà magari la scorta. Ogni giorno qualcuno si chiede in che Paese viviamo.
25 aprile: cosa è rimasto?
La domanda, a questo punto lecita, non è tanto cosa abbiamo imparato dal 25 aprile 1945, ma se in pratica almeno qualcosa è rimasto. Al di là di frasi fatte, di canoniche e passive recite negli angoli più significativi della storia di questa nazione, resta un senso di smarrimento e in parte di ingratitudine. Non siamo stati capaci, in pratica, di meritare il sacrificio di chi quel 25 aprile non è potuto scendere in piazza a festeggiare. Non abbiamo compreso il senso di chi è sceso in strada a sventolare il tricolore e ad abbracciare il perfetto sconosciuto vicino.
Abbiamo imparato solamente ad indossare una maschera d’ipocrisia, lasciandoci guidare da una diffusa ignoranza. La stessa che vede in questa giornata sfilate istituzionali e clima da vacanza, perché in realtà, siamo onesti, questo 25 aprile di ottant’anni dopo è solo uno dei tanti ponti utili per viaggiare. Nel frattempo il Paese va, così cosà avrebbe detto qualcuno, lasciando una scia ormai sbiadita di una giornata storica riconosciuta da molti e compresa da pochi.
Felice Marcantonio
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